LA VOCE DEL MASTER - Può davvero l'atteggiamento del medico influenzare anche a livello chimico la risposta di un paziente ad una terapia o anche solo alla somministrazione di un placebo? Ci rispondono Giorgia Silani, ricercatrice di neuroscienze cognitive alla Sissa di Trieste e Fabrizio Benedetti, responsabile del Laboratorio di Neurofisiologia dell'effetto placebo dell'Università di Torino, che abbiamo intervistato in occasione dell'incontro "Neuroscienze dell'empatia" tenutosi durante Infinitamente, il festival di arte e scienza dell'Università di Verona. Nel suo ultimo studio, pubblicato sul numero di Marzo della rivista Pain, Fabrizio Benedetti e i suoi collaboratori hanno analizzato come una suggestione verbale positiva da parte del medico curante attivi nel cervello il rilascio di sostanze chimiche simili alla morfina, le endorfine, e alcune simili alla cannabis,ovvero i cannabinoidi.
Sul Journal of the American Medical Association, Paul Offit passa in rassegna i vent'anni di attività del National Center for Complementary and Alternative Medicine (NCCAM), il più grande istituto al mondo per gli esperimenti clinici sull'efficacia delle medicine alternative. Visti i risultati, propone che il Centro studi l'effetto placebo.
NOTIZIE - E se usato a sproposito lede i diritti del cittadino.
Ahimè, è tutto in tedesco, per cui non sono in grado di leggere il report originale dell’Associazione dei Medici tedeschi (per chi masticasse la lingua, lo trovate qui). La notizia è però rimbalzata sui media in lingua inglese, e credo sia interessante rifletterci un po’. Almeno metà dei medici tedeschi dell’Università di Medicina di Hannover hanno dichiarato che prescriverebbero placebo ai loro pazienti (per esempio vitamine o rimedi omeopatici). Anche circa la metà dei medici che hanno partecipato a un’indagine Svizzera ha dichiarato lo stesso.
Che i medici ricorrano spesso al placebo, per curare i piccoli malanni di pazienti che essenzialmente cercano un po’ di comprensione e “cura” dal proprio medico, non è una novità. Una ricerca del genere in Italia non è stata fatta, ma l’anedottica medica vuole questa pratica diffusa anche nel nostro paese (bello sarebbe che qualcuno si occupasse di fare una verifica sistematica). Nel 2008 è uscita una ricerca negli Stati Uniti dove si riportano statistiche molto simili a quelle tedesche.
OMEOPATIA - Non facciamo che ripeterlo: come potete leggere nell’esauriente quanto chiara rassegna proposta da Queryonline, i farmaci omeopatici a oggi non hanno mai dato prove convincenti di efficacia maggiore rispetto all’effetto placebo, e per questo non possono essere considerati farmaci nel senso scientifico del termine.
Ma che cos’è questo effetto placebo? Magia o fisiologia? Fantasia o reale e potente effetto terapeutico?
Il termine nasce grazie a un episodio avvenuto durante la seconda Guerra Mondiale, quando un’infermiera che lavorava con il dottor Henry K. Beecher, anestesista, dato che erano finite le scorte di morfina, iniettò in un paziente sofferente una siringa di acqua e sale, mentendo sul contenuto della fiala. Disse cioè al paziente che quel farmaco avrebbe attenuato il dolore e il trucco funzionò. Questo aneddoto segna storicamente l’entrata del placebo in medicina, proprio grazie al lavoro di Beecher, che una volta finita la guerra ritornò al suo posto di professore all’Università di Harvard.
NOTIZIE - Ecco, un risultato come questo, se confermato e generalizzato a tutta una serie di situazioni terapeutiche, potrebbe essere maledettamente utile: si legge sull’ultima edizione di PLoS One che l’effetto placebo funziona anche se i pazienti non vengono ingannati. L’effetto placebo avviene quando un paziente ha una remissione dei sintomi dopo la somministrazione di un trattamento fasullo – per esempio gli si presenta come farmaco un pillola che in realtà è soltanto una caramella. È un effetto psicologico di cui ormai si iniziano a conoscere abbastanza le basi biologiche, mediate, pare, da circuiti nervosi.
NOTIZIE - Tanto per dimostrare che non ce l’ho di principio con tutte le medicine alternative, ma solo con quelle che volendosi vestire con un abito scientifico (con tutti i vantaggi annessi) non tentano nemmeno di dare prova scientifica delle loro efficacia, oggi voglio parlare di un campo promettente di studi: il trattamento del dolore attraverso l’agopuntura.
Nina Theysohn, dell’Università di Essen, in Germania, presenterà oggi al meeting della Radiological Society of North America, i risultati del suo ultimo studio: l’agopuntura cambia la percezione del dolore e questo cambiamento è osservabile a livello di attività cerebrale.