Neuroscienziati usano il film Il Genio della Truffa per investigare con la risonanza magnetica funzionale come si innesca la voglia di fumare.
SALUTE – Chiunque abbia smesso di fumare da poco, sa bene come la vista di qualcuno che si gode la sua sigaretta sia sufficiente ad accenderne istantaneamente il desiderio.
Poco importa se è stata la consapevolezza dei danni che il fumo provoca (addirittura a livello del DNA, come si è scoperto recentemente) a farci smettere: la voglia, a volte, riaffiora.
Ma cos’è, nel dettaglio, che fa scattare il meccanismo, e cosa succede nel cervello quando accade?
Un gruppo di ricerca del Dartmouth College, per rispondere a queste domande, ha chiesto aiuto al cinema e il loro lavoro è stato pubblicato il 19 gennaio sul Journal of Neuroscience.
Il Genio della truffa, film di Ridley Scott e con protagonista Nicolas Cage, è stato scelto perché nelle numerose scene dove gli attori fumano non ci sono riferimenti ad alcol, sesso o violenza (che avrebbero inquinato i dati raccolti) e i ricercatori lo hanno proiettato per un pubblico molto particolare: 17 fumatori e 17 non fumatori.
Durante la visione (limitata ai primi 30 minuti della pellicola), il cervello dei volontari (ai quali non era stato riferito che l’esperimento era sul fumo) è stato scansionato usando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), una tecnica che permette di identificare le aree celebrali dove è maggiore l’afflusso di sangue, e quindi dove si suppone ci sia maggiore attività.
I risultati dimostrano che, oltre alla chimica in sé, uno dei fattori che spinge il fumatore a mettere mano al pacchetto risiede nel vedere altri che compiono gli stessi movimenti, anche se sullo schermo. Nel cervello dei 17 fumatori la vista di Nicolas Cage che si accende una bionda attiva le stesse aree che presiedono alla realizzazione di quei movimenti, ovvero quelle coinvolte nell’organizzazione della sequenza di gesti che accompagnano la sigaretta dal pacchetto al portacenere.
Infatti, non solo si “accendevano” le aree legate alle sensazioni di desiderio e gratificazione (corteccia orbitofrontale, corteccia prefrontale dorsolaterale e corteccia cingolata anteriore), ma anche anche quelle coinvolte nell’imitazione dei movimenti, in particolare delle mani, cioè il solco intraparietale e il giro frontale inferiore. In queste ultime inoltre l’attività era concentrata nella parte sinistra, cioè nelle aree connesse in particolare al movimento della mano destra, e questo è in accordo con le caratteristiche del campione di fumatori, composto da soli destrimani. Il cervello del fumatore in pratica “mimava” la propria routine quotidiana in risposta a uno stimolo visivo, innescando quindi la voglia di fumare.
Lo studio, finanziato dal National Institutes on Drug Abuse, dal Norris Cotton Cancer Center, e dal Canadian Institutes of Health Research, invita a tenere conto dei risultati non solo dal punto di vista strettamente scientifico, ma anche da quello della salute pubblica, visto che può bastare un film come tanti a mettere i bastoni tra le ruote anche alla più martellante delle campagne anti-fumo.
Oggi non accadrebbe più che un attore come John Wayne, incarnazione dell’uomo Made in U.S.A., addirittura pubblicizzi una nota marca di sigarette, ma da tempo c’è chi punta il dito sull’intera industria cinematografica: uno studio di Lancet del 2001 rilevava che in un campione di 250 film in un arco di tempo dal 1988 al 1997 nell’85% si faceva uso di tabacco, e molti di questi sono accessibili, se non espressamente pensati, per un pubblico adolescente.
Ancora oggi secondo l’ U.S. Center for Disease Control and Prevention, nonostante un notevole miglioramento rispetto al passato (vedi video), le pellicole a larga diffusione commerciale con scene di fumo che i ragazzi possono vedere al cinema sono ancora troppe.