Negli Stati Uniti, i National Institutes of Health hanno avviato la prima ricerca sulla salute di 50.0oo persone coinvolte dalla fuoriuscita di petrolio dopo l’esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon, l’anno scorso
SALUTE – Il Gulf Long-Term Follow-Up Study, diretto dall’epidemiologa Dale Sandler, è iniziato il 28 febbraio con l’invio dei primi questionari a volontari e lavoratori che hanno partecipato alle operazioni successive all’incidente per limitarne i danni, e ad alcuni residenti sulle coste di Texas, Alabama, Louisiana, Mississippi e Florida, principalmente. Finanziato anche con 6 milioni di dollari da BP, che non ha partecipato alla progettazione e non potrà intervenire nell’analisi dei dati, recluterà 55 mila volontari che dopo una visita medica e vari esami, verranno seguiti per 5 anni con questionari biennali ed eventualmente altre visite.
Secondo Dale Sander, lo studio intende determinare come le persone sono state esposte al petrolio, se attraverso l’aria inquinata, ustioni, contatto diretto con il petrolio o con le sostanze usate per disperderlo, o mangiando pesce e frutti di mare, e le loro conseguenze cliniche. L’altra intenzione è di identificare biomarcatori per le varie fonti di contaminazione legate a problemi respiratori, eritemi, livelli elevati di alcune sostanze chimiche nel sangue e ai rischi per i diversi tumori.
In quegli stati però, molti residenti non hanno una cartella clinica perché sono troppo poveri per curarsi e sarà difficile distinguere gli effetti dell’incidente da altri fattori. Il quotidiano finanziario Wall Street Journal fa notare che i dati dello studio saranno sicuramente usati dagli avvocati – che sono oltre un milione, negli Stati Uniti – per far causa a BP e aumentare i risarcimenti che dovrà pagare. I ricercatori degli NIH rispondono che una volta stabiliti i rischi per le squadre di “pulizia”, sarò possibili ridurli e, insieme ad essi, i rischi finanziari delle compagnie petrolifere quando avverranno altri incidenti.
L’annuncio dello studio è arrivato poco dopo il secondo rapporto finale sulle cause dell’incidente, ancora più critico di quello di gennaio nei confronti delle società che hanno costruito e gestito la piattaforma.