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Intelligenza terrestre

In “ibernazione” per mancanza di fondi l’Allen Telescope Array dedicato al progetto SETI, ma di che cifre stiamo parlando?

FUTURO – Gli italiani lo sanno meglio di altri: quando ci sono dei tagli finanziari da fare, la ricerca scientifica (specialmente quella di base) è uno dei bersagli preferiti, ma è giusto (anzi, razionale) mettere sul piatto della bilancia persino un programma di ricerca che, tra le altre cose, potrebbe regalarci la scoperta del secolo? E i soldi “risparmiati” sono davvero soldi “guadagnati” in questo caso?

Prima un paio di precisazioni riguardo al programma in oggetto, il SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence). La prima è che, malgrado i titoli di alcuni quotidiani, il SETI non dà la caccia agli stessi alieni che secondo Voyager e Mistero visitano (e hanno visitato) la Terra a bordo di astronavi, quelli che per imperscrutabili motivi manifestano la propria presenza con caricaturali rapimenti di esseri umani e con immagini rigorosamente sfocate: il SETI utilizza i radiotelescopi (e, in misura minore, telescopi) per scandagliare lo spazio alla ricerca di un segnale elettromagnetico emesso da intelligenze extraterrestri, basandosi sull’ipotesi che la Vita non sia un fenomeno esclusivo del nostro pianeta e che per questo esiste la possibilità che, da qualche parte, questo non solo si sia verificato, ma che abbia anche portato all’evoluzione di una civiltà tecnologica in grado di emettere, e naturalmente ricevere, segnali radio.

Che sia un campo di indagine altamente speculativo nessuno lo mette in dubbio, ma anche se stiamo ancora ascoltando non si può proprio dire che il SETI non sia progredito da quando negli anni ’70 cominciò a utilizzare gli strumenti della radioastronomia. In primo luogo il SETI non porta avanti i suoi scopi grazie ai famigerati “ricercatori indipendenti” ora tanto di moda (ad esempio videoamatori con la mano non particolarmente ferma che nei weekend aspettano con impazienza di catturare la prova definitiva dei visitatori alieni), ma segue seri protocolli sperimentali che mettono in campo strumentazioni allo stato dell’arte che così possono essere testate. I più importanti radiotelescopi utilizzati dal SETI sono composti di più antenne che “collaborano” per ottenere un’immagine del cielo quanto più possibile accurata. Queste strutture, nella loro ricerca di E.T., producono quindi conoscenza sia sotto forma di know-how tecnologico, sia sotto forma di dati astronomici: lo spazio è interessante di per sé, a prescindere dalla presenza o meno di alieni.

Queste strutture producono poi una quantità di dati che richiedono una grande potenza computazionale per essere analizzati: nel ’99 vede la luce il SETI@home, un progetto che permette di suddividerne l’analisi su migliaia di normali Personal Computer messi a disposizione da volontari. SETI@home è attualmente il progetto di calcolo distribuito che conta più volontari e, tra gli altri meriti, ha trainato con la sua popolarità altri progetti analoghi, sia dedicati alla ricerca di base che applicata. Oggiscienza ne ha parlato qui.

Fermiamoci qui con i meriti del SETI e passiamo alla notizia vera e propria.

L’Allen Telescope Array (ATA), con le sue 350 antenne è una delle colonne portanti del SETI (anche dal punto di vista simbolico)  assieme al radiotelescopio di Arecibo (Porto Rico) ma dal 22 aprile ha smesso di funzionare, non per motivi tecnici ma per banale mancanza di fondi. In particolare ATA per proseguire ha bisogno di ben 2.5 milioni di dollari all’anno (poco meno di 1.700.000 euro). Alla maggior parte di noi sulla carta può sembrare una grossa cifra, ma è davvero così?

Sul blog μcosmologist è disponibile una infografica che permette di vedere le cose un po’ in prospettiva: far funzionare ATA per un anno (stipendi del personale compresi) costa come 5 missili Tomahawk. Quella riportata qui sotto è solo una parte dell’infografica, click sull’immagine per la versione completa.

Oltre al danno, la beffa. La sonda Kepler, lanciata nel 2009, ha finora identificato centinaia di esopianeti di cui 68 della grandezza della Terra e 54 di questi collocati nella zona abitabile. Jill Tarter, tra i principali esponenti del SETI, ha dichiarato in un’intervista rilasciata Wired Science che si sta appunto guardando in quella direzione.

[…] Avevamo in cantiere un programma di due anni di osservazione. C’è qualcosa che chiamiamo “buco dell’acqua” tra 1 e 10.000 gigahertz, dove l’universo di solito è silenzioso. Vogliamo cercare là.

Una scienziata che cerca intelligenze extraterrestri deve lottare contro la mancanza di fondi: se vi è venuto in mente il libro Contact (1985) di Carl Sagan, e il film omonimo del 1997 diretto da Robert Zemeckis avete fatto un paragone più appropriato di quanto forse non pensate. Jill Tarter infatti è la radioastronoma sulla cui figura Sagan, tra i principali promotori del SETI) ha plasmato la protagonista della sua opera, Eleanor Arroway.

Nella fiction è un misterioso magnate che permette alla ricercatrice di continuare il suo lavoro grazie a una generosa donazione. Nella realtà il SETI ha dato il via a una raccolta fondi. Nel frattempo gli altri telescopiche aderiscono al SETI, come quello di Medicina,  continuano a cercare.

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac