Sclerosi multipla e batterio MAP: è stato davvero individuato un possibile fattore di rischio?
LA VOCE DEL MASTER – “Ma quindi abbiamo una malattia come le mucche?”. Questa è una delle tante domande che i pazienti affetti da sclerosi multipla rivolgevano a Eleonora Cocco, ricercatrice presso il Centro Sclerosi Multipla dell’Università di Cagliari, all’indomani della pubblicazione sui quotidiani dei risultati di una ricerca nella quale è stata direttamente impegnata. I dubbi erano frutto dei termini sensazionalistici con cui diversi organi di stampa hanno riferito di uno studio, ancora in fase preliminare, riguardante la possibile associazione fra il Mycobacterium avium subspecies paratubercolosis (MAP), un bacillo responsabile della paratubercolosi nei ruminanti, e la sclerosi multipla.
Alcuni studi condotti in passato avevano già evidenziato una correlazione tra MAP e due malattie autoimmuni, il diabete di tipo 1 il e morbo di Crohn: il batterio era stato cioè identificato più di frequente nei pazienti colpiti dalle malattie che nei controlli sani. Cocco e colleghi hanno quindi ritenuto opportuno valutare la presenza di questo microrganismo anche nelle persone affette da sclerosi multipla, altra patologia autoimmune.
Detto, fatto. I ricercatori hanno analizzato 50 casi, cioè pazienti (42 recidivi – emittenti, 6 secondari progressivi e 2 primari progressivi) e 56 controlli, tutti sardi. Nei primi è stata riscontrata una positività al MAP nell’ordine del 42%, mentre la percentuale scendeva a 12,5% per le persone appartenenti al gruppo di controllo. In pratica, il contatto con il bacillo risultava quasi quattro volte più frequente nel sangue dei malati che in quello delle persone sane.
Nel corso dello studio si è inoltre riscontrata un’omologia fra una proteina del MAP (per la precisione la MAP2694) e un recettore di un tipo particolare di cellule del sistema immunitario, i linfociti T. Il fenomeno descritto prende il nome di mimetismo molecolare, un fenomeno secondo cui un agente esterno si “presenta” come simile e familiare all’organismo, in modo da sfuggire ai sistemi di difesa messi in atto dall’organismo stesso. Nel caso specifico, l’omologia tra MAP e il recettore dei linfociti T potrebbe mandare in confusione il nostro sistema immunitario, spingendolo ad attaccare non solo l’agente esterno, ma anche i linfociti stessi, dando il via a una reazione di autoimmunità.
In barba all’esiguo numero di individui analizzati, termini e concetti come vaccino, cura o causa sono stati ampiamente utilizzati dai giornali, provocando un’euforia e un’aspettativa che mal si accompagnano ai tempi necessariamente lenti di cui hanno bisogno questi studi. Ne abbiamo parlato con la stessa Eleonora Cocco.
Dott.ssa Cocco, quali saranno i prossimi passi? Su cosa vi state concentrando in questo momento?
Ora stiamo lavorando per aumentare la significatività e il numero dei campioni, in modo da capire meglio l’eventuale coinvolgimento del MAP; inoltre abbiamo una collaborazione con un gruppo di ricerca di Torino valutare altre popolazioni oltre a quella sarda. Se il MAP è un fattore di rischio reale, infatti, dovrebbe essere presente in diverse popolazioni e non soltanto in una, anche se può essere specifico di quella. Stiamo lavorando anche sul mimetismo molecolare per cercare di simulare con modelli informatici un possibile ruolo di MAP come fattore causante la malattia. Ovviamente è un discorso tutto in divenire…
Cioè? Che cosa intende con “un discorso tutto in divenire”?
Questa ricerca è stata un punto di partenza. Abbiamo trovato un’associazione, ma dobbiamo chiarirla meglio. Siamo lontani anni luce dal poter affermare che il MAP rappresenta una causa della malattia o da qualunque applicazione pratica. Anche per quanto riguarda un eventuale meccanismo d’azione: al momento abbiamo ipotizzato il mimetismo molecolare, ma potrebbero essercene anche altri.
Che tipo di malattia è la sclerosi multipla? È così difficile individuarne cause e fattori di rischio?
La sclerosi multipla è una malattia molto complicata. Basti pensare che il virus di Epstein-Barr è stato chiamato in causa come fattore causante la malattia per moltissimi anni. Nel 2007 è uscito un articolo di un gruppo di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità che trovava il virus di Epstein Bar nel cervello del 90% dei soggetti con sclerosi multipla. Eppure una lunga serie di studi successivi non è più riuscita a riscontrare questa associazione. Insomma, stiamo camminando in un terreno minato perché noi vediamo la malattia quando ormai è presente, mentre i fattori causali vengono prima: andiamo a cercare a posteriori qualcosa che ha agito nel soggetto chissà quanti anni prima, in un momento della vita che noi non conosciamo.
E per ora cosa possiamo dire adesso sull’associazione fra MAP e sclerosi multipla?
Tanto per cominciare dobbiamo confermarla, visto che 50 pazienti sono davvero pochi; poi dovremo valutare se MAP è in grado davvero di determinare l’insorgenza dell’autoimmunità. Teoricamente possiamo ipotizzare che il MAP costituisca un fattore di rischio per una persona predisposta geneticamente alla sclerosi multipla. Tra l’altro, quando parliamo di predisposizione genetica per la sclerosi multipla dobbiamo pensare a una predisosizione multifattoriale, in cui sono coinvolti diveri geni. Un soggetto predisposto possiede tante varianti che possono favorire l’insorgenza della malattia, ma se non viene a contatto con uno (o più) fattore di rischio scatenante può anche non sviluppare mai la patologia.
Qual è allora il senso di ricerche così preliminari?
Questi sono lavori che danno piccoli contributi e servono per dire alla comunità scientifica: “Io ho trovato questo, tu cosa ne pensi?” Servono quindi per aprire un dialogo, una discussione, una possibilità di scambiare le idee con altri che lavorano sullo stesso argomento. Come dicevo, ora vorremmo estendere la ricerca come minimo a 200 malati e 200 sani. Per i risultati ci vorranno anni, ma la ricerca, si sa, è fatta anche di questo.