Usare gli oceani per ricaricare la batterie? Quando un fiume e un oceano si incontrano, la differenza di salinità tra acqua dolce e salata può rappresentare oggi una nuova fonte di energia rinnovabile. Grazie alla ricerca appena pubblicata sulla rivista Nanoletters
NOTIZIE – Il nuovo dispositivo, sviluppato da ricercatori della Stanford University è costituito da un elettrodo che attrae gli ioni positivi del sodio e uno che attrae gli ioni cloro negativi. Quando gli elettrodi vengono immersi in acqua salata, attirano ioni sodio e cloro dall’acqua, e questo movimento di ioni genera una corrente elettrica. Gli elettrodi vengono ricaricati sostituendo l’acqua dolce a quella salata, e applicando una corrente relativamente bassa, che allontana gli ioni. E reimmettendo gli elettrodi nell’acqua salata il processo ricomincia.
L’idea di recuperare energia dalla miscelazione delle acque non è senz’altro una novità e se ne parla dagli anni ’50. In passato sono stati proposti la pila idroelettrica basata su membrane acide e basiche, l’osmosi a pressione ritardata basata su membrane semipermeabili, l’elettrodialisi inversa basata su membrane selettive di ioni e ancora celle elettrochimiche e dispositivi per sfruttare le differenze di pressione del vapore.
Con questo sistema si riesce a convertire in elettricità il 74% di energia potenziale che esiste tra acqua salata e acqua dolce, senza alcuna diminuzione delle prestazioni in oltre 100 cicli. Secondo i ricercatori, posizionando degli elettrodi più vicini sarebbe possibile raggiungere un’efficienza dell’85%.
Il processo sviluppato dal gruppo di Yi Cui è l’inverso della desalinizzazione dell’acqua. In questo caso, invece di immettere energia per purificare l’acqua, si sfrutta la presenza del sale per produrre e immagazzinare energia.
Una centrale elettrica alimentata con questa tecnologia andrebbe collocata vicino ai delta dei fiumi e potrebbe produrre fino a 100 megawatt di potenza. Nell’articolo è anche riportata una previsione in cui si calcola che se fossero sfruttate tutte le acque dolci dei fiumi del mondo, il processo potrebbe generare 2 terawatt, corrispondenti a circa il 13% dell’energia attualmente utilizzata in tutto il mondo.
Una goccia nel mare forse, ma pur sempre energia pulita. Forse.
I dubbi principali contro questa nuova tecnologia riguardano il possibile impatto ambientale, sia per l’alterazione dell’ambiente naturale degli organismi marini, sia per l’utilizzo dell’argento per la costruzione di uno dei due elettrodi. L’argento infatti è non solo costoso, ma anche tossico se rilasciato nell’ambiente.
Allo sviluppo del prototipo ha partecipato anche l’italiano Mauro Pasta, del Dipartimento di Chimica Inorganica, Metallorganica e Analitica dell’Università degli Studi di Milano e ora si lavora per migliorare le prestazioni di questa “batteria oceanica”.