CRONACALA VOCE DEL MASTER

Quando il medico lavora troppo

LA VOCE DEL MASTER – Vi  renderebbe nervosi, salire sull’aereo in partenza per le vacanze e scoprire che il pilota ha già lavorato durante la notte e dormito meno di sei ore? È quello che spesso accade ai pazienti nelle corsie di ospedale o nelle sale operatorie. Nonostante il lungo periodo di training i medici non sono immuni dalla mancanza di sonno e dalla conseguente carenza di attenzione nelle attività svolte dopo la  notte  passata di guardia d’ urgenza. Le  disattenzioni possono aumentare i rischi di complicanze per i pazienti, mentre per i medici la mancanza di un sonno continuato per almeno 6 ore, può aumentare il rischio di malattie cardiovascolari. Come fanno notare i medici canadesi Noni Mc Donald e Ken Flegel, in una rassegna che verrà presto pubblicata sul Canadian Mediacal Association Journal, la deprivazione di sonno provoca un calo di attenzione simile a quello che si raggiunge quando l’ alcool test segna 0,05%.

Uno studio del 2010 (durato ben 10 anni) ha monitorato le complicanze e sequele negative in pazienti operati da chirurghi già stanchi, che si sono rivelate ben più gravi di quelle osservate in letteratura per gli stessi interventi. Come osservano Mc Donald e Flegel la medicina oggi permette di salvare persone da malattie che fino dieci anni fa erano considerate mortali. Questo successo scientifico richiede però sforzi molto più gravosi ai medici sia fisici che di performance mentale anche perché la complessità degli interventi e delle pratiche di terapia intensiva richiedono molta più attenzione e dedizione che in passato.

Proprio per valutare come risolvere il problema del sovraffaticamento nel 2009 negli USA si è simulata l’applicazione della strategia di restrizione lavorativa dell’aviazione al sistema sanitario. Il risultato: il costo di oltre  1.000.000 di dollari per ogni anno di vita/paziente salvata, la necessità di impiegare il 71% in più di medici e di aumentare i sanitari assunti del 174%, una mission impossibile dal punto di vista amministrativo.

Gli autori dell’articolo fanno comunque notare che anche i medici stessi ci mettono del loro. Non è così raro che al termine del servizio notturno, per ragioni di orgoglio o di “scuola simil militare” il medico prosegua l’ attività, anche in sala operatoria o in terapia intensiva al di fuori dell’orario contrattuale. McDonald e Flegel propongono un “consenso informato” anche su questo tema: il paziente dovrebbe firmare un modulo di consenso all’intervento che contenga anche una clausola con cui acconsente che chirurgo che lo opera abbia già lavorato anche per parecchie ore (fornendo anche i dati sulla maggior probabilità di conseguenze negative dall’intervento collegate). È chiaro che pochi pazienti sarebbero disposti a firmare e l’atteggiamento dei sanitari sarebbe costretto a cambiare.

In Canada come negli Stati Uniti una parte corposa delle spese mediche è coperta dalle compagnie assicurative e secondo i due autori anche queste potrebbero avere un ruolo attivo, per esempio sottolineando alla firma del contratto che non risponderanno per danni perpetrati oltre le ore di lavoro concesse. Il problema è complesso, sostengono gli autori, che riportano l’ esperienza di alcuni ospedale canadesi  dove i medici hanno accettato tutti insieme una nuova programmazione del lavoro, con una mutua collaborazione a proseguire il servizio per il collega che termina il turno di guardia.

Anche in Italia sarebbe utile una politica condivisa tra i medici che scoraggi l’attività protratta, e solleciti primari e direttori a promuovere il riposo dopo la notte per prevenire incidenti  negli ospedali, ma è anche chiaro che se talvolta il personale sanitario lavora di più è probabile che sia anche per coprire la scarsità di personale e dunque sarebbero necessari anche maggiori fondi (o una razionalizzazione degli stessi). I pazienti, soprattutto i più acuti e gravi, devono essere certi di ricevere le cure e le attenzioni migliori da medici riposati e in buona forma fisica e mentale.

Condividi su