Una nuova tecnica che usa i raggi X ha rivelato i pigmenti contenuti nei fossili, scoprendo nuovi dettagli di un uccello vissuto 120 milioni di anni fa. E la stessa tecnica potrà essere utilizzata in futuro per rivelare anche i colori dei dinosauri
NOTIZIE – Ancora una volta questa settimana parliamo di fossili e dinosauri. Alcuni fossili preistorici di uccelli sono stati trovati con le piume quasi intatte, ma i colori del piumaggio col tempo erano completamente scomparsi, lasciando i paleontologi senza alcun indizio riguardo al colore di questi animali. Film e illustrazioni azzardano spesso colori improbabili per gli uccelli preistorici. Come dimenticarci ad esempio degli animali dei Flinstones (errori cronologici a parte)? Oggi un gruppo di ricercatori ha messo a punto una nuova tecnica che sfrutta la luce di sincrotrone per rivelare i pigmenti rimasti nei fossili e analizzarne la struttura chimica. Senza danneggiare i fossili.
L’anno scorso era stato pubblicato un articolo molto simile su Nature, ve lo ricordate? Ne avevamo parlato anche su Oggi Scienza. In quel caso il problema era che per analizzare i fossili al SEM (il microscopio elettronico a scansione), i ricercatori avevano dovuto “grattare” dei pezzetti di fossile e le informazioni sui pigmenti colorati che si ottenevano erano relative solamente ai campioni prelevati, quindi a zone specifiche. Oggi invece questa nuova ricerca propone un nuovo metodo per analizzare i pigmenti dei melanosomi senza danneggiare i preziosissimi fossili e restituendo una mappa completa dei pigmenti dell’animale. Analisi costruttive invece che distruttive quindi.
Il team di ricerca ha visto la collaborazione di gruppi degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Cina per la scansione dei fossili di Confuciusornis sanctus (il primo uccello munito di becco) e di Gansus yumenensis (che ha vissuto circa 110 milioni di anni fa ed è considerato il più antico degli uccelli moderni) utilizzando un fascio di raggi X presso lo SLAC National Accelerator Laboratory.
Diversi elementi chimici assorbono diversi colori di luce a raggi X, e i colori del fascio hanno permesso ai ricercatori di vedere quali elementi, come il rame o il calcio, erano contenuti in ogni singola parte del fossile. Uno dei pigmenti trovati, la eumelanina, è responsabile del colore degli occhi marroni e dei capelli scuri in molte specie moderne, compresi gli esseri umani. Come ha dichiarato Roy Wogelius dell’Università di Manchester, uno degli autori della ricerca “Questo è un pigmento che si è evoluto molto molto tempo fa ma è viene ancora sintetizzato attivamente da organismi del pianeta, e noi oggi abbiamo trovato un modo per mappare e mostrare la sua presenza oltre 120 milioni di anni fa. Questo mette in rapporto diretto me, voi, e alcuni organismi estremamente vecchi”.
Mentre nelle tradizionali radiografie ai raggi X sulle lastre le ossa appaiono come sagome bianche attraverso cui non passa la luce, quando la luce di sincrotrone (in questo caso ultra-bright X-rays) colpisce gli atomi di rame, calcio e zinco queste emettono luce e si illuminano. Grazie al confronto con i risultati ottenuti con le piume di uccelli moderni è stato possibile scoprire che lo specifico pattern ottenuto dai fossili corrispondeva a quello dell’eumelanina. Questa tecnica permette oggi ai paleontologi di studiare anche la biochimica di animali estinti milioni di anni fa e di individuare le loro abitudini alimentari, grazie alla composizione dei tessuti del loro corpo.
Per spiegarla in maniera semplice i raggi X vengono usati come sonde, rilevando i singoli componenti chimici del fossile. Quando i raggi colpiscono il fossile, il segnale che rimbalza dipende dalla forma e dalle dimensioni di ciascuna molecola, e dalle sostanze chimiche che la circondano influenzandone il comportamento. In questo modo è possibile “decifrare” il codice nascosto nei fossili.
Scoprire i colori di animali estinti non è soltanto una curiosità. Il colore ha giocato un ruolo chiave nei processi di evoluzione per selezione naturale, che hanno guidato tutta la vita sulla Terra per centinaia di milioni di anni, quindi scoprire che un animale era nero, piuttosto che rosso potrebbe spiegarci molte cose rispetto alla sua esistenza.
Tuttavia questa ricerca è ancora all’inizio. Anche se grazie alla concentrazione del rame, i ricercatori sono stati in grado di determinare che le piume di uccelli fossili avevano delle aree più scure e più chiare, non sono ancora in grado di dire che cosa rappresentano questi colori. La ricerca di Wogelius e colleghi sta ora continuando, analizzando nuovi reperti per ampliare il database e confrontare i pigmenti degli esemplari antichi con quelli degli attuali animali nella speranza di decifrare gli antichi colori.
I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Science e saranno il tema di uno speciale trasmesso dal National Geographic Channel.