NOTIZIE – Dati appena pubblicati sulla rivista Science mostrano come la scomparsa dei grandi predatori sta seriamente danneggiando diversi ecosistemi, sia marini sia terrestri. La perdita del primo anello della catena alimentare è senz’altro una grossa perdita per la biodiversità e rappresenta uno dei maggiori effetti dell’azione dell’uomo sulla natura. Con gravi effetti a cascata.
Nessuna novità, c’era da aspettarselo, ma la ricerca condotta dai 24 scienziati presenta finalmente le prove di questi effetti, ottenute in maniera sistematica analizzando non solo l’ambiente terrestre, ma anche quello marino. Con un effetto boomerang anche sull’uomo, che si trova a dover correre ai ripari.
Secondo James Estes, autore della ricerca, i grandi animali, un tempo onnipresenti, hanno modellato la struttura e la dinamica degli ecosistemi. Il loro declino, in gran parte causato dagli esseri umani attraverso la caccia e la frammentazione degli habitat, ha oggi conseguenze di vasta portata e spesso sorprendenti, tra cui i cambiamenti della vegetazione, la frequenza degli incendi, la diffusione di malattie infettive, l’aumento di specie invasive, la qualità dell’acqua e dei cicli dei nutrienti.
Tra gli esempi citati nell’articolo c’è la scomparsa di leoni e leopardi nell’Africa subsahariana ha portato ad un’esplosione demografica dei babbuini verdi (Papio anubis). Con l’aumento del numero dei babbuini sono aumentate le occasioni di contatto con l’uomo nel corso delle fasi di ricerca di cibo e il risultato è stata la diffusione di parassiti intestinali, che dai babbuini sono stati trasmessi agli abitanti dei villaggi della zona. E lo stesso accade con le zecche portate dai cervi. Già perché la perdita dei consumatori all’apice di un ecosistema innesca un fenomeno ecologico conosciuto come “cascata trofica”, una catena di effetti in movimento verso il basso che sconvolge anche i livelli più bassi della catena alimentare.
E questo non è un problema di zone svantaggiate e sottosviluppate. Nel parco nazionale di Yellowstone la scomparsa dei lupi nel ha portato a un eccesso di alci e cervi che hanno attaccato la vegetazione e la situazione è tornata alla normalità solo dopo la reintroduzione del predatore nell’ambiente.
L’analisi condotta considera diversi effetti indiretti che la scomparsa degli animali, sia carnivori che erbivori, ha sugli ecosistemi. Ad esempio la riduzione del numero di erbivori come bufali e gnu ha incrementato la quantità di vegetazione nella zona orientale dell’Africa, che è diventata un ottimo combustibile per gli incendi che si sviluppano nella stagione arida.
Gli esempi citati nella ricerca sono molti, alcuni ovvi e immaginabili, altri meno scontati. Il problema messo in evidenza dagli autori è proprio la non prevedibilità di tutti gli effetti che vengono innescati a cascata, se non quando si agisce su un anello della catena. I grandi predatori e i grandi erbivori hanno effetti rilevanti su vaste aree geografiche e la loro reintroduzione deve essere pianificata e organizzata ragionando su vasta scala, per non creare pericolosi effetti collaterali, gravi tanto quanto l’alterazione iniziale dell’habitat.