Uno studio sembra mettere in relazione l’esposizione ai campi magnetici in maternità e lo sviluppo di asma nel bambino. Tuttavia molti colleghi si sono affrettati a prendere le distanze dal lavoro
CRONACA – Pochi mesi fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato l’uso dei cellulari come potenzialmente cancerogeno. Ciò che in molti non hanno riportato, è l’entità della pericolosità stimata: nella stessa classe di “comportamenti a rischio” stilata c’è il consumo di caffè e sottaceti. Ora uno studio pubblicato online su Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine mette sotto accusa i campi magnetici: l’intensità dell’esposizione durante la gravidanza sarebbe legata al rischio di sviluppo dell’asma nei figli. Gli autori ritengono che l’associazione sia molto evidente, ma diversi specialisti puntualizzano che lo studio ha troppi errori metodologici per giustificare il giudizio degli autori.
Patricia McKinney, professore di epidemiologia pediatrica all’università di Leeds, intervistata da Sense about Science afferma:
Le conclusioni che il paper sottolinea, cioè che l’esposizione ai campi magnetici durante la gravidanza aumenti il rischio di asma nella progenie, non possono essere giustificate dai risultati presentati nella pubblicazione. L’indagine è priva di una base o di un’ipotesi biologica da mettere alla prova.
Sul sito del National Health Service (il servizio di pubblica assistenza sanitaria del Regno Unito) l’analisi dello studio è più approfondita. Le donne che hanno accettato di partecipare allo studio andavano dalla quinta alla tredicesima settimana e sono state reclutate nell’arco di due anni. Per stabilire l’intensità dell’esposizione, è stato chiesto loro di indossare per 24 ore un dispositivo di misura, dal quale poi i ricercatori hanno ricavato una media in base ai dati registrati. Per quanto i ricercatori abbiano cercato di assicurarsi che il giorno scelto per il test fosse la classica “giornata tipo” per la futura mamma, è utopistico pretendere di avere ottenuto un dato indicativo dell’effettiva esposizione “media” di tutto il periodo di gravidanza. Inoltre non è specificata la fonte delle emissioni: c’erano madri che abitavano vicino a tralicci dell’alta tensione? Quanti e quali elettrodomestici erano in funzione durante la misura?
L’altro principale punto debole è il campione: è normale (e inevitabile) che in un cohort study lungo come questo il campione di partenza si modifichi, ma in questo caso ben il 40% dei soggetti è uscito dal consorzio di tutela sanitaria Kaiser Permanente (San Francisco, California) in seno al quale si svolgeva lo studio, e di conseguenza non è stato monitorato fino alla fine. Ciò ha reso i risultati finali intrinsecamente deboli e difficili da accettare così come proposti dagli autori.
Lo studio non è comunque totalmente privo di meriti secondo l’NHS: anche in mancanza di una giustificazione biologica per la responsabilità dei campi magnetici nello sviluppo di una malattia complessa e dalle cause multifattoriali come l’asma, i ricercatori avevano pianificato di seguire un ampio campione sia prima che dopo l’eventuale sviluppo della malattia, sgomberando quindi il campo da false diagnosi e, riguardo ai campi magnetici, utilizzando un appropriato strumento di misura.
Le conclusioni finali, però, non sono molto diverse da quelle di McKinney:
Nel complesso, le debolezze di questo studio portano alla conclusione che non esso non costituisca una solida prova che i campi magnetici possano causare l’asma nei nascituri. Rispondere a questa domanda richiederebbe ulteriori ricerche su popolazioni campionarie diverse e più numerose.