SALUTE – Se una tesi fino a questo momento dubbia dal punto di vista scientifico ha avuto così tanto successo e presa sul pubblico, un grosso merito è stato certamente della comunicazione, spesso esagerata, messa in atto dai sostenitori della teoria di Zamboni. Il perché la comunicazione abbia giocato un ruolo fondamentale è presto detto: la sclerosi multipla è una malattia complessa, le cause sconosciute e la cura inesistente. E proprio su questi punti si basa il successo mediatico della tesi di Zamboni:
La causa: non si parla di linfociti T, macrofagi o assoni. Il concetto è semplicissimo: la sclerosi ha luogo in seguito alla chiusura di una vena.
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La cura: basta riaprire la vena per bloccare ed eliminare i sintomi della malattia .
Concetti che dunque diventano comprensibili a tutti. E con nomi come Liberation Treatment (Trattamento di Liberazione – nome con cui viene chiamata l’operazione di angioplastica: si intende la liberazione della vena, ma il concetto che passa quello di “liberazione” dalla malattia) e Sogni Coraggiosi (Brave Dreams), l’appeal sale ulteriormente.
Poi ci sono le testimonianze dei “liberati”, persone che dichiarano di aver tratto beneficio dall’operazione. Sono testimonianze alle quali va certo prestata molta attenzione, senza però dimenticare sia che i malati che non hanno tratto giovamento difficilmente decidono di raccontare la propria storia, sia che un conto sono i racconti di singoli malati e un altro le statistiche a lungo termine sull’esito dell’intervento, riferite a un gran numero di pazienti.
La comunicazione corre sui social
Per inquadrare il fenomeno bisogna inoltre considerare il contesto sociale che la sclerosi multipla occupa: è infatti una malattia che colpisce generalmente fra i 20 e i 30 anni, in un periodo della vita in cui si sta programmando il futuro. Una fascia di popolazione che utilizza come principale mezzo di comunicazione Internet e i Social Media come Facebook o Twitter. E proprio i social media, come analizzato in un editoriale di Nature, hanno assunto un ruolo chiave nella vicenda CCSVI. Roger Chafe, ricercatore presso il Memorial University of Newfoundland di St.John’s (Canada) e primo firmatario dell’articolo, commenta sull’importanza di Twitter e Facebook nella vicenda della CCSVI e ragiona sulla possibilità che una comunicazione basata sui social network possa, aggirando i risultati della scienza “ufficiale”, ridefinire l’agenda politica della stessa ricerca scientifica.
A ogni modo è corretto evidenziare come esistano anche associazioni che tentano di inquadrare la vicenda della CCSVI all’interno di concetti più ampi come quello della “Salute Partecipata”. Sul rapporto fra medico e paziente, Stefania Calledda, responsabile della comunicazione per Isola Attiva Onlus, afferma: “Oggi il medico non è più l’interfaccia fra il paziente e la scienza. Adesso abbiamo le capacità di andare a cercare le informazioni da soli. C’è un fortissimo dibattito all’interno della stessa comunità dei medici su come debba essere l’approccio col paziente, su come ci si deve rapportare ai nuovi fenomeni, compresa una maggiore conoscenza da parte dei pazienti e una maggiore capacità di interpretazione delle cose.”
Insomma, per come si sono messe le cose, un giudizio definitivo sulla vicenda è difficile da tirare: non resta che aspettare l’esito delle sperimentazioni in programma: nuove tappe, probabilmente di scontro, nella tortuosa strada di comprensione di una malattia complessa come la sclerosi multipla.