CRONACA – (Ovvero “il mito della sicurezza”). Già la scorsa settimana vi annunciavo la pubblicazione di un numero speciale (Fukushima: reflexions six months on) da parte del Bullettin of Atomic Scientist. Oggi volevo soffermarmi in particolare su uno dei contribuiti contenuti in questo speciale, non perché gli altri siano meno interessanti, ma perché è uno spunto per affrontare il tema del dibattito pubblico sulla governance scientifica, in particolare quella riferita alla sicurezza delle fonti energetiche.
Nell’articolo “Fukushima: The myth of safety, the reality of geoscience” Johannis Nöggerath e colleghi spiegano come al momento della sua costruzione la centrale di Fukushima avesse adeguato gli standard di sicurezza per gli tsunami alle conoscenze scientifiche dell’epoca. Quando poi nei decenni successivi gli avanzamenti scientifici hanno dato un quadro diverso del pericolo tsunami nell’area della centrale, nonostante ci sia stata più di un’occasione in cui è stato detto esplicitamente alla Tepco (la compagnia elettrica che gestisce la centrale) e alle autorità competenti di rivedere gli standard, nulla è stato fatto. Gli autori dell’articolo, scrivono nell’abstract, ritengono che “il mito della sicurezza” sostenuto dal Governo giapponese e dalle compagnie elettriche abbia distrorto il dibattito onesto e aperto sui rischi.
Nöggerath e colleghi fanno un escursus storico sugli tsunami nella regione di Tohoku, dove sorge Fukushima. Sono principalmente due le fonti che negli ultimi decenni hanno dato un nuovo quadro sul rischio effettivo. Da un lato gli studi sugli paleotsunami: l’analisi dei sedimenti, comparate con i dati storici hanno dimostrato che negli ultimi 3.000 anni nell’area sono avvenuti almeno altri tre eventi di tsunami comparabili a quello di marzo di quest’anno.
In secondo luogo, spiegano ancora, lo tsunami dovuto al terremoto a Sumatra nel 2004 (ricorderete tutti gli effetti devastanti dell’evento) ha dimostrato alla comunità scientifica che l’assunzione che quella zona di subduzione non potesse creare eventi così catastrofici fosse errata. Fino a quell’evento, continuano gli autori, alcuni sismologi ritenevano che tsunami cosi catastrofici potessere verificarsi solo in “certe” zone di subduzione, dalla quale erano escluse quella di Sumatra, ma anche quella di Fukushima. La realtà dei fatti dimostra l’infondatezza di queste conclusioni.
È stato proprio dopo l’evento di Sumatra (per la precisione nel 2006) che la Commissione sulla Sicurezza Nucleare giapponese ha rivisto le proprie linee guida sismiche per le centrali nucleari. Le nuove precauzioni invocate però erano di natura generale e non sono poi state trasformate in revisioni effettive ai sistemi di sicurezza delle centrali (Fukushima, ma anche tutte le altre).
La seconda occasione in cui le raccomandazioni sono rimaste inascoltate è avvenuta nel 2009 quando un comitato del Governo giapponese ha tenuto una serie di audizioni per rivedere la sicurezza sismica e relativa agli tsunami delle centrali nucleari. In quel’occasione uno dei membri del comitato, Yukinobu Okamura, un geologo, ha denunciato il forte rischio di tsunami basato sui dati emersi dallo studio degli paleotsuani (si riferiva in particolare alle conoscenze ottenute sull’evento del 869, noto col nome di Jogan).
In sostanza, denuinciano gli autori c’erano elementi sufficienti per innalzare il livello di rischio-tsunami nell’area della centrale, che avrebbero dovuto portare all’innalzamento degli standard di sicurezza della centrale. Ma nulla è stato fatto.