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Al museo del futuro, ritorno alle origini

ARTE, MUSICA E SPETTACOLI – C’è un luogo sulle rive del Danubio, a metà strada fra Vienna e Salisburgo, dove è possibile chattare con un androide al telefono o accarezzare un piccolo di foca robotico, scavare nei sogni delle macchine o scattare una foto alla propria retina per mandarla agli amici; qui, i viaggi nello spazio cosmico sono all’ordine del giorno e non c’è da stupirsi se ci si imbatte in un essere umano dotato di protesi caudale. Questo stesso luogo, ogni anno da ormai più di 30 anni, verso la fine dell’estate, si trasforma in un punto di riferimento per i navigatori di tutto il mondo che solcano i mari dell’arte, della scienza e della tecnologia d’avanguardia: non importa da quale porto siete partiti, quali passioni o quale età avete, l’Ars Electronica Center, il museo del futuro di Linz, e il suo Festival riusciranno certamente a stimolare il vostro interesse.

Non è una galleria d’arte, non è un museo della scienza…

Più di sei piani in cui c’è molto da toccare, provare e sperimentare e dove l’attenzione non è mai rivolta all’arte, alla tecnologia o alla società prese singolarmente bensì ai loro complessi processi di metamorfosi e alle loro interrelazioni. Tutti, senza alcun prerequisito, sono i benvenuti nei 4 laboratori della mostra permanente più grande all’Ars Electronica Center, Nuove immagini dell’uomo, dove le parole d’ordine sono interazione e fai-da-te: tra i microscopi e le protesi supertecnologiche del BrainLab, BioLab, FabLab e RoboLab si possono clonare piante, isolare il proprio patrimonio genetico, dare uno sguardo dentro il corpo umano o interagire con un robot dall’irresistibile muso, Paro, capace di riconoscere 50 voci diverse e di rispondere al suo nome.

Qualche scalino più in su, nella stanza dedicata alla mostra Geocity, l’installazione 80 giorni + 1 – Un viaggio intorno al mondo strizza l’occhio al classico di Jules Verne ma in questo caso i mezzi convenzionali utilizzati anche dal signor Fogg e dal suo fedele servitore Passpartout sono roba vecchia: per raggiungere le 20 destinazioni dell’itinerario, luoghi in cui si sta inventando, controllando e, forse, frenando il futuro, si ricorre ad una connessione satellitare e a fibra ottica. Il mondo reale non è abbastanza? 189,355 mattoncini, uno per ogni cittadino di Linz, sono a disposizione dell’immaginazione del visitatore che può così costruire, rimodellare ed espandere la Pixel city secondo il proprio progetto.

Magari finirà per assomigliare alla città di Ryota Kuwakubo, in Lost#2, dove oggetti di uso quotidiano danzano lungo le pareti dell’installazione, dando vita a misteriosi scenari: uno scolapasta può trasformarsi in un maestoso grattacielo, una lampadina in una grossa centrale elettrica. Kuwakubo utilizza per le sue opere unicamente oggetti il cui valore e significato sono spesso definiti in funzione dell’uso che se ne fa, ed è proprio questo legame che l’artista intende spezzare svelando la bellezza che si nasconde dietro una matita, un rotolo di nastro adesivo o uno spillo. Lost#2 è solo una delle tante creazioni della mostra temporanea Quello che le macchine sognano, una collezione di macchine ed opere d’arte insieme che, a differenza dei loro omologhi industriali e commerciali, non hanno assolutamente niente a che fare con la razionalità e la perfezione.

Tra gli spettacoli imperdibili all’Ars Electronica Center c’è quello offerto da Deep Space che, con il suo schermo 16×9 (metri, s’intende) e un sistema di visualizzazione 3D, fa strappare al visitatore un biglietto per luoghi andati perduti o lontani, come lo spazio, o ancora mondi fantastici scaturiti dalla mente di famosi fumettisti.

L’ultima mostra è dedicata, e scusate se è poco, alla nascita di tutto, ORIGINE – Investigando il Big Bang. Prima sorpresa: mentre l’ascensore ti porta al piano dell’esposizione, un intero universo esplode dall’antimateria sotto i tuoi piedi. Seconda sorpresa: c’è lo zampino del Cern, l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Nella stanza dove ci si muove come protoni all’interno dell’ormai noto acceleratore di particelle e nulla è lasciato al caso (l’inclinazione dei pannelli di testo è la stessa dell’asse di rotazione terrestre), si curiosa tra i fatti del laboratorio ginevrino. Qui, 10,000 scienziati provenienti dal 80 paesi lavorano con un budget annuale di 1 miliardo di franchi svizzeri per trovare una risposta alla domanda che da tempo immemore l’essere umano si pone: da dove veniamo? La mostra è dedicata quindi allo spettacolare e affascinante mondo della ricerca, ma non solo: investigare le basi della nostra esistenza non è esclusivamente roba da scienziati ma ciò che rende tutti noi umani. La sete di sapere, la passione che ci porta ad aprire nuove vie e capovolgere i punti di vista, il desiderio di dare alla nostra esistenza un significato e di capire qual è il nostro posto nell’universo sono tutti elementi quintessenziali tipici della nostra specie e costituiscono la risorsa condivisa sia dall’arte che dalla scienza. Il Cern ne esce così non solo come culla di grandi intuizioni nel campo della ricerca di base avanguardistica ma anche come luogo in cui nascono nuovi paradigmi, nuove idee e nuovi modi di vivere e concepire il mondo.

Un appuntamento esplosivo

E allo studio dell’origine dell’universo, dalla grande esplosione in poi, era dedicata anche l’edizione 2011 del Festival, tenutosi dal 31 agosto al 6 settembre e dal titolo Origine – come tutto ha inizio. Una matassa, quasi inestricabile, di eventi e cose da vedere sparsi in luoghi diversi della città.

Il Brucknerhaus, centro congressi sull’altra sponda del Danubio, ha ospitato simposi e conferenze con illustri ospiti (uno per tutti: Anton Zeilinger, tra i più autorevoli fisici quantistici del mondo) nonché mostre come Uselessness. The useful useless dove erano esposti i lavori degli studenti del programma Interface Culture dell’Università di Linz. Opere d’arte e installazioni scaturite dalla non inutilità, dall’utile inutile poiché sono quelle idee che ci sembrano inizialmente superflue, nate grazie alla libertà intrinseca dell’arte, che alla fine forniscono approcci radicalmente nuovi nel campo del design interattivo se si è capaci di pensare fuori dagli schemi. Così, lo Squeezer di Fabrizio Lamoncha, Ioan Ovidiu Cernei e Masa Jazbek è un piccolo sacco posizionato sotto il televisore che modifica la voce di chi sta parlando quando viene schiacciato con una certa energia mentre Huis Clos, degli stessi autori, ha le sembianze di una casa in legno: picchiando sul tetto, si ottiene un colpo di risposta ma solo dopo un attimo di attesa che fa riflettere sul libero arbitrio dell’uomo e la conseguente ansia derivante da una simile responsabilità, comunque parte dell’esperienza umana. Sono entrambi esempi di interazione fine a se stessa che si sente stretta in un ambiente in cui ogni gesto a contatto con un schermo produce conseguenze secondo uno schema di azione-reazione caratteristico del nostro rapporto con la tecnologia. C’era pure un’area dedicata alla proiezione non-stop di film le cui trame girano attorno al tema dell’origine. E sempre al Brucknerhaus, la sera del 2 settembre, si è tenuto l’Ars Electronica Gala dove gli artisti vincitori nelle sette categorie del Prix hanno ricevuto la Nike d’oro e altri riconoscimenti.

Circa 25 dei lavori risultati vincitori nelle categorie Hybrid Art, Interactive Art e Digital Musics & Sound Art erano ospitati all’OK Center for Contemporary Art nel contesto della mostra CyberArts. A ben cogliere l’intreccio tra origini della vita e meccanismi tecnologici sono stati Julian Oliver e Danja Vasiliev, che con Newstweek hanno realizzato un dispositivo, del tutto simile a una presa elettrica, in grado di alterare i contenuti dei siti di notizie che leggete mentre siete collegati a hotspot wireless nelle vicinanze. Il kit è distribuito dagli autori sul sito newstweek.com ed è economico e facilissimo da costruire, basta avere un discreto livello di competenza tecnica e uno spirito da smanettoni. Chiaramente l’iniziativa, lungi dall’essere un’istigazione al terrorismo mediatico, vuole essere uno stimolo ad alzare il livello di allarme sulla possibilità di manipolare le notizie e quindi l’opinione pubblica in modo sistematico e fraudolento. «Il linguaggio più significativo dei nostri tempi è quello dell’ingegneria», affermano i due critical engineers, «e noi vogliamo esporre le sue logiche fin nel minimo dettaglio per capire cosa ci possiamo aspettare».  A smascherare un altro inquietante aspetto della Rete, ci hanno pensato gli italiani Paolo Cirio e Alessandro Ludovico che, con Face to Facebook, hanno raccolto in un database un milione di profili di Facebook analizzandoli con un software per il riconoscimento facciale. Dalle immagini vengono dedotte le caratteristiche degli individui, dati poi inseriti in un sito per combinare ipotetici incontri. Il provocatorio lavoro è un invito a ricordare che nell’inserire il nostro profilo sulle rassicuranti pagine del social network più usato ne perdiamo di fatto irrimediabilmente il controllo.

È opera dei brasiliani Rejane Cantoni e Leonardo Crescenti la scultura cinetica, immersiva e interattiva costituita da 92 portici metallici che si disallineano a seconda del peso e del movimento di chi interagisce. Simili meccanismi fisici, che implicano cioè una certa fatica per essere attivati, fanno a pugni con un mondo dominato dall’IPhone e dai videogiochi di settima generazione. E a proposito di Iphone, in Six-Forty by Four-Eighty, Jamie Zigelbaum e Marcelo Coehlo propongono una riflessione sul concetto di touchscreen che traduce gli immateriali pixel in altrettanti cubi magnetici con schermo colorato, fisicamente trasferibili su un pannello e il cui colore cambia quando vengono sfiorati. Il risultato è un’opera di grande impatto visivo, dove il gesto del toccare è slegato da ogni utilità pratica per tradursi nella pura ricerca estetica della miglior combinazione di colori.

Nel suggestivo scenario della chiesa più grande di tutta l’Austria, il “Duomo Nuovo”, Iroshi Ishiguro, lo stesso creatore di Telenoid, il prototipo di telefono dalle sembianze umane in grado di rendere visibili le emozioni di chi si trova all’altro capo della comunicazione (sperimentabile all’Ars Electronica Center), mette in scena Sayonara, la performance teatrale in cui un androide interagisce con un’attrice in carne e ossa. Bisogna riconoscere l’impressionante realismo della prima, ma è impossibile confondere le due. A suo tempo Ishiguro era già riuscito nell’impresa di creare una copia identica a se stesso, ma con quest’opera si è commoventemente avvicinato all’obiettivo di vedere un umano e un robot interagire sullo stesso livello.

Sam Auinger e il suo collaboratore di lunga data Bruce Odland, invece, hanno scovato un altro luogo acusticamente interessante, il cortile adiacente al museo d’arte contemporanea Lentos, e lì hanno piazzato la loro installazione sonora: Linz R2 è composta da due canne di risonanza in grado di trasformare in tempo reale i rumori del paesaggio urbano circostante.

Sonorità più usuali, ma con retroscena sorprendenti, all’Ars Electronica Nightline che ha fatto tirare fino alle ore piccole grazie ad una formazione gremita e quanto mai varia di Dj internazionali e momenti di musica live. Tra tutti, hanno spiccato la Tesla Orchestra, capace di trasformare l’energia di fulmini da milioni di volt in melodia, i giochi di luce sulla facciata dell’Ars Electronica Center a tempo con i remix di Leonardo e il viennese Gelbut che ha fatto sudare decine di persone visto che l’energia necessaria al suo show doveva inevitabilmente essere generata dalle pedalate dell’audience.

E se tutto ciò non fosse abbastanza, vale la pena menzionare u19 CREATE YOUR WORLD: il festival nel festival, esclusivamente per gli under 19, per ispirare la nuova generazione di artisti, inventori e scienziati, far sì che imparino a comunicare fra loro e per incoraggiarli a pensare al mondo di domani.

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