SALUTE – Un melanoma continua a proliferare come se tutte le sue cellule fossero staminali, eppure le cellule sono differenziate e invecchiano come quelle dei tessuti sani. Per di più le staminali sembrano assenti. Come mai il tumore si rigenera lo stesso? Su PLoS Computational Biology, risponde un modello matematico confermato da esperimenti in vitro e in vivo.
In realtà risponde la biologa molecolare Caterina La Porta dell’università statale di Milano insieme ai fisici Stefano Zapperi dell’Istituto per l’energetica e l’interfasi del CNR (Milano) e James Sethna dell’università Cornell (Ithaca, N.Y.), in un articolo che mescola colture di cellule provenienti da pazienti, topi modificati geneticamente per essere “immuno-compromessi” e simulazioni al computer basate sulla meccanica statistica per interpretare i risultati sperimentali.
All’inizio le cellule in coltura si moltiplicavano, ma nel giro di 90 giorni invecchiavano e si dividevano sempre meno. Dopo quel rallentamento però, tornavano a proliferare e di cellule vecchie non ce n’erano più. Anche nei tumori trapiantati nei topi, il picco di senescenza avveniva dopo tre mesi. Dal modello, nei tessuti come nelle colture doveva esserci un 0,6% di staminali. Per esserne certi, i ricercatori hanno escluso che il calo “produttivo” fosse dovuto a fattori di stress, come la mancanza di ossigeno, controllato l’effetto sul picco della “survivina“, una delle proteine che blocca l’invecchiamento e il conseguente “suicidio cellulare” (apoptosi). Hanno scoperto che lo blocca davvero nelle cellule differenziate, ma nelle colture con quella percentuale di staminali l’effetto era minimo.
Per il melanoma, il modello e gli esperimenti mettono fine a un’incertezza: dimostrano che le staminali ci sono, anche se così poche da spiegare come mai siamo difficili da identificare. Il modello dovrebbe avere un’utilità più generale, e non solo perché gli autori hanno verificato che combacia con il comportamento di altre staminali in altri tumori. Consente di prevedere la “dinamica delle popolazioni” di entrambi i tipi di cellule e, in fin dei conti, l’evoluzione della malattia. Magari con qualche aggiustamento, per tener conto della diversa percentuale di staminali presenti per esempio.
Le ricerche che mirano a scoprire un inibitore della survivina potrebbero aver scelto il bersaglio sbagliato, e le cellule staminali si sono dimostrate capaci di sopravvivere agli attacchi terapeutici più feroci. Da un lato, non si può dire che l’articolo sia incoraggiante. Dall’altro, invita a studiare meglio le difese delle staminali tumorali, fino a trovare la breccia.
Immagine: H & E Stain (CC)