AMBIENTE – Mal comune, mezzo gaudio. O forse no. Dei continui attacchi che i biologi evoluzionisti hanno subito da parte dei vari movimenti creazionisti, il mondo della fisica ne avrebbe forse fatto anche a meno.
Sarà la febbre maya che sale, o chissà che altro, ma sta di fatto che con il 2012 i negazionisti del cambiamento climatico hanno preso la ricorsa, e si scagliando contro l’insegnamento del global warming nelle scuole pubbliche americane. La dose è stata rincarata anche grazie alla storia trapelata nelle ultime settimane, un vero e proprio Denial-gate, di cui si sono occupati, dopo le dichiarazioni del presidente del Pacific Institute Peter Gleick a The Huffington Post, anche The Guardian e The New York Times.
Il NCSE, National Center for Science Education, è una organizzazione che fin dagli anni ’80 si impegna a sostenere la difesa dell’insegnamento dell’evoluzione nelle scuole pubbliche americane, e porta avanti un incessante lavoro di informazione e formazione con insegnanti, genitori e in generale con la cittadinanza. Dalla sua istituzione la NCSE ha avuto modo di specializzarsi negli attacchi creazionisti, ma ultimamente si è dovuta adattare ai tempi, e si è evoluta per contrastare una “nuova” generazione di negazionisti. A partire da gennaio 2012, infatti, la NCSE si occupa anche di cambiamento climatico. Hanno preso molto seriamente questo attacco alla scienza, e per quanto alla NCSE siano pronti a combattere queste posizioni e abbiano imparato molto dai loro anni di esperienza a difesa dell’insegnamento dell’evoluzione, è quasi frustrante vedere che i invece clima-negazionisti non hanno imparato nulla dai colleghi creazionisti. Ancora non hanno imparato a cosa significa “teoria”, cosa è un modello e cosa sono delle previsioni. Ancora non hanno capito che il dibattito nella comunità scientifica è cosa buona e giusta. Ancora sono qui a chiedere che si insegni la controversia laddove la controversia non c’è.
A queste vicende ha fatto accenno settimana scorsa anche Lord Nicholas Stern, noto economista della London School of Economics, dove è direttore del Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment e del Centre for Climate Change Economics and Policy. In occasione delle Lionel Robbins Memorial Lectures 2012, Lord Stern ha ripercorso i contenuti del famoso documento che porta il suo nome, lo Stern Review, che il governo britannico rilasciò verso la fine del 2006. A cinque anni e mezzo dall’uscita di quelle 700 pagine, “Lord Climate”, come lo hanno soprannominato in tanti, ha però soprattutto parlato di come vada ripensato totalmente il sistema delle dinamiche economiche, invocando una nuova rivoluzione industriale. Come già aveva illustrato nel suo libro A blueprint for a safer future, Stern parla di una transizione generale nel consumo e nella produzione per superare le due principali sfide di questo secolo: la povertà e la gestione del cambiamento climatico. Rispetto allo Stren Review, dove si calcolava che l’investimento necessario per provare a limitare l’aumento delle concentrazioni dei gas serra e l’innalzamento della temperatura sarebbe dovuto essere pari al 1% del PIL, oggi Stern dice che questa percentuale si è quasi raddoppiata. Ha molto enfatizzato alcuni casi di best practice, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, e, se in generale si è mostrato ottimista su quello che si può fare, lo è stato meno su quello che si farà davvero.
Tra i settori di cui ha parlato maggiormente c’è quello energetico, e, al di là della discussione più tecnico-economica, ha colpito una sua citazione di Thomas Edison in merito all’uso delle fonti di energia rinnovabili. Nel 1931, poco prima di morire, il grande scienziato americano disse che siamo “come dei coloni che abbattono la staccionata attorno alla nostra casa per usarla come combustibile, quando dovremmo usare le inesauribili fonti di energia della natura – sole, vento, maree. Io scommetto i miei soldi sul sole e l’energia solare. Quale fonte di energia! Spero non dovremo aspettare fino a che avremo finito petrolio e carbone prima di approfittarne”.
Lord Stern ha più volte nelle tre conferenze ribadito la fondamentale importanza del dibattito pubblico sul tema del cambiamento climatico per la creazione di nuovi valori e l’incentivazione a nuove politiche.
La centralità dell’informazione dei cittadini è un tema che gli sta molto a cuore. Per questo ha parlato anche di chi è in denial, i sopra citati negazionisti. Per quello che riguarda la questione americana che ha mosso la NCSE, Stern ha detto che effettivamente sembra che negando le evidenze del riscaldamento globale “il partito repubblicano stia dichiarando guerra alle leggi della fisica”. Ha ribadito più volte che “la scienza dietro il cambiamento climatico è solida, è stata costruita in due secoli di ricerche, studi e raccolta delle prove”. Ha sottolineato anche l’effettiva difficoltà di comunicare (e insegnare) l’incertezza e il rischio, dicendo però a chi nega l’evidenza dei fatti che “il rischio è troppo grande continuare a non agire”.
Sottolineando la disonestà intellettuale di chi gioca con le probabilità, o prova a confondere i cittadini (e i giovani studenti) usando a sproposito i concetti di rischio e incertezza, Stern ha ricordato una famosa frase (che ha anche dato il titolo a un libro) di un dirigente dell’industria del tabacco: “il dubbio è il nostro prodotto, dato che è il miglior mezzo per competere con i “dati di fatto” che esistono nella mente della gente. É anche il mezzo per stabilire una controversia”.
Il dubbio sarà anche il loro prodotto, ma alla NCSE non ci stanno, e per questo si sono attivati anche sul tema del cambiamento climatico. Staremo a vedere come prosegue questa vicenda che, insieme nel caso dell’insegnamento evoluzione, anima l’attuale cronaca politica americana dove “i paladini del dubbio” continuano a chiedere più “libertà” nell’insegnamento della scienza.
E chissà se ci libereremo mai di questi “liberatori”.
Crediti immagine: Chiara Ceci