SALUTE – A New Orleans, una Corte d’Appello deve decidere se ricercatori e riviste scientifiche hanno il diritto di pubblicare i risultati del Diesel Exhaust in Miners Study (DEMS), lo studio ventennale sul nesso tra gas di scarico da motori diesel e cancro al polmone fra i minatori di quattro stati americani. Il diritto è contestato dalle società minerarie, riunite nel molto discreto Mining Awareness Resource Group.
La tossicità di quei gas è nota dagli anni Cinquanta e dagli anni Ottanta sono classificati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tra i “probabili carcinogeni umani”. Da allora la probabilità è stata confermata da centinaia di ricerche, nessuna lunga e approfondita quanto il DEMS che ha esaminato i casi di 12.315 minatori di sale, potassio e calcare (quindi senza alti livelli di radon, amianto, silicio e altri fattori di rischio) del Missouri, New Mexico, Ohio e Wyoming. Progettato dal National Cancer Institute e dal National Institute for Occupational Safety and Health, dall’inizio è stato ostacolato da processi intentati dalle imprese, dopo che erano falliti i tentativi di discreditarlo con campagne mediatiche perché “esperti aziendali” (1) non facevano parte del comitato scientifico.
Nel 2001, grazie a un errore del DEMS che aveva indirizzato un rapporto alla commissione congressuale sbagliata, un tribunale del Missouri aveva accordato alle imprese, e a una commissione del Congresso, un periodo di 90 giorni per controllare articoli già accettati per la pubblicazione. Nell’ottobre 2010, sulla rivista britannica Annals of Occupational Hygiene sono usciti uno, due, tre, quattro articoli che descrivevano i metodi usati nella ricerca. Nonostante non contenessero dati sull’incidenza dei tumori, sono stati spulciati da sei esperti esterni (di cui quattro consulenti dell’industria mineraria) che li hanno poi criticati sulla rivista.
A novembre 2011, il DEMS trasmette gli articoli finali alle aziende e al Congresso americano, accettati dopo quasi un anno di puntigliosa peer-reviee dal Journal of the National Cancer Institute, di Oxford (UK). Silenzio totale fino al 31 gennaio quando, per conto del Mining Awareness Resource Group, la ditta di lobbying Patton Boggs invia una lettera minatoria ai direttori di alcune riviste britanniche – di sicuro gli Annals già citati, Occupational and Environmental Medicine, The Lancet e forse altre:
Le chiediamo rispettosamente di valutare attentamente insieme ai suoi legali qualunque intenzione di pubblicare questi articoli, nonché l’impatto e le conseguenze di detta pubblicazione…
A metà febbraio, la redazione del Journal of the National Cancer Institute rifiuta di confermare o smentire a Science di aver ricevuto la diffida. Che l’editore cedesse alle pressioni? La lettera ricordava le sentenze e il processo tuttora in corso a New Orleans, e concludeva:
Vi avvisiamo in anticipo di questa situazione nella speranza che, semmai considerate la pubblicazione o distribuzione di tali articoli, rinuncerete a farlo finché non saranno applicate la sentenza della magistratura e le direttive congressuali, o finché la situazione non sarà risolta in altro modo. Distinti saluti.
Un editoriale del Lancet riferisce lo stupore di alcuni esponenti dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro per un’interferenza senza precedent. Il 2 marzo, scadono i 90 giorni previsti dalla sentenza del 2001 e da quelle successive (l’ultima nel 2011, a narrarle tutte ci vorrebbe Dickens…). Il giorno stesso il Journal of the National Cancer Institute pubblica in open access A Cohort Mortality Study With Emphasis on Lung Cancer con i dati sui 12.315 minatori e A Nested Case Control Study of Lung Cancer and Diesel Exhaust su 760 minatori di cui 198 morti di cancro al polmone, e gli ostinati Annals di nuovo una valutazione dei metodi. Tutti e tre con la prima o ultima firma di Debra Silberman, l’unica del gruppo iniziale rimasta a subire le angherie dell’industria mineraria.
Il 5 marzo, il National Cancer Institute pubblica a sua volta un comunicato stampa sui risultati e ne spiega il significato. In sintesi, inalare carbonio da combustione del diesel aumenta da tre a cinque volte – dipende dalla concentrazione di pm 10 – la mortalità per cancro al polmone che però cala lievemente per chi fuma due pacchetti di sigarette al giorno. I non fumatori esposti ai livelli più alti sono sette volte più a rischio di tumore rispetto a quelli esposti ai livelli più bassi.
I dati arrivano al momento giusto, scrive Lesley Rushton in The Problem with Diesel, perché l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro rivaluterà entro giugno la classifica delle emissioni da diesel nei “probabili carcinogeni”. Adesso la probabilità è quantificata e riguarda non solo i minatori, in qualunque galleria sotterranea lavorino, ma anche i cittadini dei paesi nei quali le norme sui veicoli diesel sono poco stringenti o disattese.
Resta da quantificare la probabilità che una lobby statunitense rinunci alla censura mondiale di risultati sgraditi.
(1) Nel senso di dipendenti delle aziende, non di ricercatori presso enti pubblici o privati ma comunque esterni, pagati da lobby, istituti e fondazioni appartenenti a gruppi industriali, o direttamente da questi per “dimostrare” per esempio che la tossicità dell’amianto è scarsa o nulla e l’atrazina è innocua.
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Crediti immagine: NARA-EPA, dominio pubblico