Nanoparticelle “appiccicose”: una nuova strategia contro il cancro
Le nanoparticelle possono aiutare il sistema immunitario a riconoscere e combattere il cancro. Gli scienziati dell'università della North Carolina hanno progettato nanoparticelle "appiccicose" che si legano alle proteine usate come marker tumorali e migliorano l'identificazione delle cellule cancerogene.
SALUTE – Immaginate di avere una nanoparticella e di renderla adesiva, cosa ci fareste? I ricercatori guidati da Andrew Z. Wang del Lineberger Comprehensive Cancer Center l’hanno sfruttata per mettere a punto una nuova strategia per combattere il cancro in modo più efficace. Quando un paziente è sottoposto a radioterapia infatti le cellule tumorali morenti “sputano” nel corpo alcune proteine che possono essere usate come marker tumorali. Se le nanoparticelle catturano con il loro adesivo queste proteine, ne nasce un oggetto più facilmente identificabile dal sistema immunitario, che riesce così a riconoscere le cellule tumorali e a combatterle in tutto l’organismo.
Le particelle messe a punto dal gruppo di ricercatori dell’Università della North Carolina guidati da Wang si chiamano “nanoparticelle cattura-antigene” e sono state pensate per lavorare in sinergia con i farmaci immunoterapici. L’obiettivo infatti è quello di stimolare una risposta del sistema immunitario che sia aumentata in modo significativo, come spiega l’autore dello studio i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Nanotechnology: “La nostra ipotesi è che utilizzando le nanoparticelle per afferrare le proteine tumorali saremo in grado di ottenere una risposta immunitaria più robusta contro il cancro. A rendere vincente questa idea è il fatto che le nanoparticelle sono più “attraenti” per il sistema immunitario, dato che i linfociti non le amano molto e spesso le identificano come virus e rispondono velocemente alla loro presenza nell’organismo”.
Attualmente la radioterapia è ampiamente utilizzata nel trattamento di una grande varietà di tumori, ma può capitare in rari casi che il tumore presenti una regressione anche al di fuori del sito primario trattato. Si parla di effetto abscopale e uno di questi casi, che riguardava un paziente affetto da melanoma, venne riportato sul New England Journal of Medicine del 2012.
Un effetto insolito per cui gli scienziati hanno ipotizzato una soluzione. Le cellule del sistema immunitario, i linfociti, vengono spedite sul sito trattato con radioterapia per combattere il tumore. Una volta arrivate però si trovano davanti alle proteine rilasciate dalle cellule tumorali morenti, che permettono ai linfociti di “allenarsi” al riconoscimento del cancro e lo rendono individuabile anche in altre parti del corpo. La sinergia tra questo effetto e i farmaci immunoterapici inibitori del check-point immunitario, quelli cioè che rilasciano il freno del sistema immunitario e stimolano la difesa dal cancro in tutto l’organismo, rappresenta per i ricercatori la strada da perseguire nel trattamento del tumore.
Ma perché è necessario l’utilizzo delle nanoparticelle adesive per utilizzare le proteine mutate come marker tumorali? Lo spiega Jonathan Serody, co-autore dello studio: “I tumori possono accumulare una grande quantità di mutazioni nel proprio genoma e da questi geni vengono prodotte le proteine mutate che vogliamo utilizzare come marker. Queste proteine infatti se tritate e presentate in modo adeguato al sistema immunitario vengono riconosciute come un corpo estraneo da combattere. Il nostro organismo è progettato per non rispondere alle sue stesse proteine, ma non dispone di un sistema di controllo sulle nuove proteine che incontra e così abbiamo a disposizione una vasta gamma di cellule immunitarie che potrebbero produrre una risposta”.
Il passo da compiere è stato naturale per i ricercatori: disegnare nanoparticelle appiccicose, e particolarmente “sgradite” al sistema immunitario, da legare alle proteine mutate. Lo studio preclinico condotto sui topi affetti da melanoma si è rivelato un vero successo: il 20% dei topi trattati con nanoparticelle ha ottenuto una risposta completa del sistema immunitario ai marker tumorali, mentre i topi che non hanno ricevuto il trattamento non hanno avuto risposte immunitarie, insomma lo zero percento di reazione.
“I risultati hanno dimostrato che le nanoparticelle vengono assorbite dalle cellule immunitarie e trasportate fino ai linfonodi”, ha spiegato Wang. “Inoltre questa strategia aumenta il numero di cellule tumorali uccise dai linfociti T e dunque aumenta il livello di risposta immunitaria al cancro”.
Ora l’obiettivo dei ricercatori è quello di tradurre i risultati ottenuti dallo studio preclinico a una fase clinica, e per farlo sarà necessario sviluppare una nuova generazione di nanoparticelle che siano sufficientemente robuste e in grado di catturare le proteine mutate. Una strategia che, sottolinea Wang, comporta l’incremento di efficienza dei farmaci immunoterapici e per i pazienti indica un tempo di sopravvivenza più lungo anche per diversi tipi di cancro.
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