AMBIENTE – I neonicotinoidi fanno male alle api e in Italia l’uso di questi pesticidi, che proteggono le sementi dagli insetti nocivi, è sospeso da una moratoria annua che scade a giugno. Al rinnovo si oppone l’associazione Agrofarma che contesta le nuove ricerche con argomenti poco convincenti.
Dall’inverno 2006, gli entomologi americani cercano il colpevole della “sindrome da collasso delle colonie” (CCD) che spopolava gli alveari in gran parte degli Stati Uniti. Mentre radunavano i soliti sospetti – acari, virus, muffe, inquinanti ambientali, cambiamenti climatici ecc. – in alcuni paesi europei i neonicotinoidi erano già vietati.
Su Science del 20 aprile, due ricerche svolte in Francia e in Gran Bretagna confermavano che i neonicotinoidi danneggiano sia le api che i bombi e quindi gli agricoltori che ne dipendono per l’impollinazione. Ora il prof. Stefano Maini, l’entomologo dell’Università di Bologna che ha partecipato al progetto Apenet, sta per irritare ulteriormente Agrofarma pubblicando sulla rivista internazionale che dirige, il Bulletin of Insectology (1), una ricerca di Chensheng Lu e collaboratori della Harvard School of Publich Health di Boston.
Nello sciroppo di mais dato alle api come “cibo invernale” da chi a fine stagione ne preleva tutto il miele, hanno somministrato a quattro gruppi di quattro arnie sanissime – ciascuno in una località diversa – dosi di imidacloprid (il neonicotinoide più diffuso) uguali a quelle presenti nell’ambiente. Risultato:
Tutte le api erano ancora vive 12 settimane dopo l’esperimento. Tuttavia 23 settimane dopo, in 15 alveari su 16 (94%) erano morte… La sopravvivenza degli alveari di controllo vicini a quelli trattati rafforza inequivocabilmente questa conclusione: la mortalità ritardata causata dall’imidacloprid che abbiamo osservato è un meccanismo nuovo e plausibile per la CCD, da convalidato con ulteriori ricerche.
In pieno inverno, le api erano scomparse lasciando le arnie piene di provviste e di larve da nutrire, proprio il comportamento inspiegabile che avevano avuto durante l’epidemia di CCD. “Più che di una sindrome complessa,” dice il prof. Maini, “conviene parlare di avvelenamento, così la cura è ovvia.”
Da quando i neonicotinoidi sono sospesi infatti, in Italia le api “vivono molto meglio,” dice. “Sicuro che se si limitassero anche in altri impieghi, starebbero ancora meglio! Risultati di danni da imidacloprid alle api, noi le avevamo denunciati fin dal 2002. La parola d’ordine dovrebbe essere neonic-less.”
Tanto più che, come scrive oggi su AgroNotizie,
non si sono registrati cali di produzione di mais. Gli agricoltori e apicoltori, almeno in questo caso, possono essere soddisfatti delle scelte scaturite dalle ricerche (in particolare quelle svolte grazie al progetto Apenet)”.
(1) Segnaliamo agli apicoltori interessati che quasi tutti gli articoli sono in open access.
Credito immagine: Luca Mazzocchi, per gentile concessione dell’autore.