SALUTE – Un segnale che con la sua presenza specifica può svelare una patologia e fornire una prima indicazione per una diagnosi. Si tratta del cosiddetto biomarker, un indicatore (proteina, gene …) utile per monitorare processi biologici di diversa natura, tra cui quelli patologici.
Cercare un possibile marcatore è ancora più utile quando la diagnosi è difficile, o addirittura possibile solo post mortem.
La timosina beta 4 è proprio uno di questi. Si tratta di una proteina trovata in modo specifico nel liquido cefalo-rachidiano di pazienti affetti dal morbo di Creutzfeldt-Jakob (CJD, Creutzfeldt-Jacob Disease), patologia neurodegenerativa rara e parente della più conosciuta encefalopatia spongiforme bovina, o mucca pazza.
Allo stato attuale la diagnosi viene fatta attraverso l’analisi dei sintomi in fase clinica, spesso in condivisione con altre forme di demenza, o grazie a marcatori meno specifici, come la 14-3-3 e la TAU, due proteine comuni ad altre malattie neurodegenerative.
Per questo studio, pubblicato su Archives of Neurology, i ricercatori dell’Istituto di scienze neurologiche del Consiglio nazionale delle ricerche (Isn-Cnr) di Mangone (Cosenza), in collaborazione con l’Università di Catanzaro, l’Azienda ospedaliera di Reggio Calabria e l’Università di Palermo, hanno analizzato il liquido cefalo-rachidiano in 21 pazienti con CJD sospetta e poi confermata, in 15 con demenza frontotemporale (quindi non Alzheimer), in 18 con probabile malattia di Alzheimer, in 9 pazienti con un altro tipo di demenza progressiva e infine un gruppo di controllo di 25 individui senza né CJD né demenza.
Dall’analisi delle proteine espresse nei vari campioni di liquido raccolti si è visto che i livelli di timosina beta 4 aumentavano marcatamente nei casi di CJD poi confermata, mentre negli altri casi, simili tra di loro per i sintomi clinici, non vi era lo stesso aumento significativo. In più tutti i pazienti con il morbo di Creutzfeldt-Jakob hanno portato allo stesso risultato.
“L’analisi dei dati”, spiega Antonio Qualtieri dell’Isn-Cnr, che ha diretto il gruppo, “ha mostrato una sensibilità pari al 100%, cioè la totalità dei pazienti CJD ha evidenziato livelli elevati di timosina beta 4, e una specificità per la CJD del 98.5%.”
Si tratta quindi di un marcatore molecolare nuovo “con un’efficienza diagnostica superiore a quella della 14.3.3, il biomarker attualmente inserito nei criteri diagnostici internazionali”, conclude il ricercatore, “a prova, tra l’altro, delle grandi potenzialità di applicazione dell’analisi proteomica (l’insieme delle proteine espresse in una cellula, soggetto a cambiamenti in risposta a fattori esterni e a tipi cellulari) in ambito biomedico”.
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