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Dove archiviare i dati digitali? Nel Dna!

NOTIZIE – Un gruppo di bioingegneri della Stanford University, California, ha recentemente messo a punto un sistema per codificare, archiviare e cancellare dati digitali all’interno del Dna di cellule viventi. Jérôme Bonnet, bioingegnere francese trapiantato negli Stati Uniti, alla guida del gruppo, ha usato degli enzimi naturali, adattati da batteri, per capovolgere delle sequenze di Dna in un senso o nell’altro.

“Ci sono voluti tre anni e 750 tentativi per far funzionare il procedimento, ma alla fine ce l’abbiamo fatta”, afferma Bonnet, che ha lavorato al progetto insieme Drew Endy e Pakpoom Subsoontorn, del dipartimento di bioingegneria dell’ateneo statunitense. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista PNAS.

Nella pratica, i ricercatori hanno creato l’equivalente genetico di una cifra binaria, il bit. Essenzialmente, se una sezione di Dna punta in una direzione, corrisponde a uno zero; se punta nell’altra, a un uno. “L’archiviazione di dati all’interno del Dna di cellule viventi ha ottime potenzialità per lo studio di cancro, invecchiamento, e non solo”, ha dichiarato Endy. I ricercatori, per esempio, potranno ora contare il numero di divisioni di una cellula, e ciò potrebbe in futuro dare la possibilità di ‘spegnere’ le cellule prima che queste diventino cancerose.

Bonnet e colleghi hanno chiamato il loro dispositivo Rad (recombinase addressable data), e l’hanno usato per modificare particolari sezioni di Dna con microbi dotati della capacità di determinare in che modo gli organismi unicellulari diventano fluorescenti alla presenza di luce ultravioletta. I microbi brillano di luce rossa o verde, a seconda dell’orientamento della sezione di Dna. Riconoscendo l’orientamento delle sequenze ‘a vista’, i ricercatori possono quindi cambiarne il verso un numero indefinito di volte.

“Lavori precedenti avevano dimostrato come capovolgere sequenze genetiche in una direzione attraverso l’espressione di un singolo enzima: quest’azione, però, era irreversibile”, precisa Bonnet. “Noi avevamo bisogno di capovolgere le sequenze avanti e indietro, per creare un registro di dati binario totalmente riutilizzabile, quindi abbiamo dovuto creare qualcosa di diverso”.

“Il problema – aggiunge Subsoontorn – è che le proteine fanno ciò che vogliono: se entrambe sono attive allo stesso tempo, o concentrate nelle quantità sbagliate, il risultato è il caos, e le singole cellule danno risultati casuali”. I ricercatori hanno scoperto che era relativamente facile capovolgere una sezione di Dna in una direzione o nell’altra, e Bonnet ha ora testato i moduli Rad in singoli microbi che si sono duplicati più di 100 volte, e il sistema ha tenuto bene. Dopo ulteriori test, è arrivata la conferma dell’affidabilità (e della riscrivibilità) del Rad.

“Uno degli ambienti più interessanti in cui programmare, afferma Endy, sono i sistemi biologici. Ora dovremo cercare di passare da un bit a un byte (sequenza di otto bit) di dati genetici programmabili”. Non sarà facile, perché parliamo di sistemi da 10 a 50 volte più complessi di quelli a cui il gruppo è arrivato: in definitiva, conclude Endy, si dovrà attendere un decennio circa prima di arrivare a un intero byte.

Crediti immagine: Dullhunk

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