di Gianluca Carta ed Enrico Bergianti
JEKYLL – In questo torrido inizio d’estate è facile credere che il chiodo fisso di milioni d’italiani siano le tanto sudate ferie, le spiagge dal mare cristallino o le rilassanti passeggiate in montagna. Tutto vero, ma la cosa più probabile è che questo avvenga solo dopo gli Europei di calcio, che in questo momento sono in cima ai pensieri di appassionati sportivi, autentici o occasionali.
Quel che a volte sfugge è che, fra i gol di Balotelli, gli assit di Pirlo e le giocate di Cassano, la scienza occupa ormai un posto di primo piano, chiamata spesso in causa per giustificare una mancata parata, un fuorigioco non visto o per rimediare di fretta e furia a un infortunio sul campo.
In particolare, sono i medici ad affiancare sempre più la preparazione delle squadre, integrando le conoscenze scientifiche alla preparazione tecnica per ottenere risultati migliori. Sempre più spesso sentiamo dunque parlare di scienziati nel calcio, col Milan che afferma di possedere un vero e proprio “centro di ricerca scientifica interdisciplinare ad alto contenuto tecnologico”, riferendosi a MilanLab, laboratorio dove vengono raccolti e analizzati i dati biofisici di ogni giocatore in modo da differenziarne e personalizzarne la preparazione atletica. E che dire di Marc Martens, noto chirurgo della maggior parte dei calciatori, il cui camice bianco è ormai celebre fra i calciofili di tutto il mondo? O delle polemiche sull’utilizzo di sostanze o prodotti chimici che fece sbottare il tecnico boemo Zdenek Zeman, facendogli perentoriamente affermare che “il calcio deve uscire dalle farmacie”? Intrecci, quelli fra calcio e scienza, che riflettono e nello stesso tempo contribuiscono a modificare l’immaginario scientifico pubblico: una scienza che se da un lato, grazie alle sue ricerche e applicazioni, contribuisce allo sviluppo del calcio, dall’altro rischia di alterarne i risultati, di creare super-atleti in grado di cambiare il corso di una partita indipendentemente dalla qualità dei loro piedi. Tutto non molto diverso, insomma, dalle aspettative e dalle paure che si riversano sulla scienza anche in altri ambiti.
Ma se sono diversi gli esempi dove è possibile notare come il binomio calcio-scienza sia sempre più saldo, non mancano i tentativi per far comprendere la scienza stessa attraverso il pallone. Impossibile non ricordare la trasmissione televisiva “Com’è fatto il calcio”, andata in onda circa due anni fa e condotta dal telecronista dei mondiali Fabio Caressa insieme a Nicola Ludwig, biofisico dell’Università di Milano, noto anche per aver scritto il libro “La scienza nel pallone”, edito da Zanichelli.
“Per tutti noi il calcio è passione, amore, coinvolgimento. Ma per capire come è fatto veramente deve entrare in campo la scienza.” Sono le parole d’esordio di Caressa all’inizio di ogni puntata, nelle quali vengono sviscerati i segreti dei campioni sotto la lente d’ingrandimento della scienza. E così si parla di punizioni scientifiche, di urti al posto di colpi di testa, di parate al limite della scienza, di rovesciate, forza di gravità e rigori perfetti e scientificamente imparabili (“ora se dovrete tirare o parare un calcio di rigore sarete più bravi, perché conoscete le regole della scienza”).
Forse gli esempi citati non sono il massimo della precisione scientifica e a volte la scienza sembra essere trattata quasi come uno strumento per sentenziare situazioni al limite come un fuorigioco non visto o un rigore parabile o no, ponendo così fine a potenziali infinite discussioni. Difficile però negare che prodotti come la trasmissione di Caressa e Ludwig rieccheggiano anche il lato “genuino” della scienza, fatto di curiosità, voglia di capire e divertimento nell’apprendere.
Nonostante il rapporto fra scienza e calcio sia, in un modo o nell’altro, sempre più forte è difficile credere che qualcuno, in questi giorni di passione calcistica, pensi a forza di gravità, portanza o energia cinetica vedendo Buffon distendersi per intercettare i tiri avversari. Ma probabilmente molti di noi si arrabbieranno per un fuorigioco dubbio o pregheranno Pirlo di tirare uno dei suoi cucchiai scientificamente imparabili. In fondo, scienza o non scienza, la cosa importante resterà sempre e solo una: battere i tedeschi e andare in finale.
Crediti foto: dphuonq/Flickr