SALUTE – Grazie alle ricerche condotte da Marcelo Rivolta, dell’Università di Sheffield nel Regno Unito, cellule staminali embrionali differenziate in vitro e poi trapiantate nell’animale hanno portato al recupero dell’udito e al miglioramento nella percezione dei suoni più deboli nel gerbillo.
Il team di ricerca ha lavorato sulla mancata connessione tra cellule dell’orecchio interno, che hanno il compito di tradurre le onde sonore in impulso elettrico, e nervo acustico, che trasmette le informazioni dall’orecchio al cervello. Nello studio, pubblicato su Nature, i ricercatori hanno utilizzato cellule staminali embrionali per “sostituire” il nervo acustico danneggiato e ripristinare la connessione.
Le cellule staminali sono state trattate con i “fattori di crescita”, in questo caso dei fibroblasti (FGF – fibroblast growth factor), cellule responsabili della produzione delle componenti della matrice extracellulare. Alla famiglia degli FGF umani appartengono 22 diverse proteine, che, come tutti i fattori di crescita, si legano ai recettori presenti sulle cellule bersaglio e attivano una serie di reazioni a cascata che portano al controllo del ciclo cellulare e al differenziamento.
Marcelo Rivolta ha sviluppato due linee di cellule sensoriali definite “primordiali” utilizzando FGF3 e FGF10, coinvolti nello sviluppo dei componenti del sistema uditivo. Il primo gruppo possedeva caratteristiche simili alle cellule cigliate che fanno parte dell’orecchio interno, e sono state battezzate “otic epithelial progenitors” (OEP – “progenitori delle cellule epiteliali del sistema uditivo”), il secondo gruppo somigliava invece ai neuroni della via acustica e le sue cellule sono state chiamate “otic neural progenitors” (ONP – “progenitori neuronali del sistema uditivo”).
Il team di ricerca ha trapiantato le cellule del secondo gruppo (ONP) nelle orecchie di gerbilli trattati con ouabaina, una sostanza chimica in grado di danneggiare i nervi acustici, senza intaccare le cellule cigliate. Dopo dieci settimane le cellule hanno formato connessioni con il tronco cerebrale e i test hanno dato ottimi riscontri, con un miglioramento nell’udito del 46%.
Quello di Rivolta non è l’unico studio che indaga sulla capacità di terapia genica e cellule staminali di ripristinare le funzioni sensoriali, ma approfondisce una delle possibilità terapeutiche nel sistema uditivo. John Brigande, biologo dello sviluppo all’Oregon Health and Science University di Portland, osserva infatti che la complessità della struttura dell’orecchio interno fa sì che esistano differenti tipologie di sordità collegate ad altrettante cause. “Gli interventi –commenta Brigande – andrebbero quindi studiati su misura per ripristinare la funzionalità compromessa in quel preciso paziente”.
L’applicazione sull’uomo è tuttavia ancora lontana: si parla di circa 15 anni di ricerche mirate a ottenere altri tipi di cellule da trapiantare, ad aumentare la riproducibilità, l’efficienza e la sicurezza. Non è possibile quindi stabilire ora i requisiti dei pazienti che potranno beneficiare di questa tecnica, anche se il ripristino della componente neuronale, necessaria per applicare l’impianto cocleare, amplia il target e determina un impatto indiretto sul recupero dell’udito.