Musica per gatti
Un po' di fusa e un po' di quel rumore che i gattini fanno succhiando il latte dalla mamma. È Music for Cats e ci porta nell'affascinante ambito della biomusicologia
WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – La biomusicologia è quella branca della ricerca che, da tempi relativamente recenti, indaga la musicalità delle specie animali (anche) per comprendere le origini della nostra. Ci sono carpe che distinguono tra diversi compositori, leoni marini che danzano a ritmo, specie di primati che si avvicinano a una radio che suona e altre che si allontanano o rimangono indifferenti. Ma ora l’attenzione della ricerca si è spostata sui gatti: se da un lato gli amici felini ignorano le nostre composizioni, fors’anche perché troppo complesse, dall’altro sono estremamente responsivi quando ascoltano della musica espressamente pensata per loro. Musica per gatti.
Ci stupisce? No, considerando che di recente sono sempre di più i centri che si occupano di fauna selvatica – ma anche le strutture come gli zoo – che hanno iniziato a far ascoltare musica ai loro animali. È presto per trarre conclusioni, spesso non è chiaro cosa sia ad attirarli, a rilassarli, a metterli in allarme, anche perché le osservazioni vengono solitamente condotte su pochi esemplari. Un esempio è il pappagallo Snowball, che balla a ritmo dei Backstreet Boys meglio di quanto facessimo noi negli anni Novanta ed è finito sulle pagine di Current Biology. Insomma le domande si affollano e lo stato dell’arte di questa disciplina è decisamente affascinante (qui ho fatto il punto). Ma torniamo ai gatti.
«Non stiamo propriamente replicando suoni felini», spiega Charles Snowdon, professore di psicologia e coordinatore dello studio pubblicato su Applied Animal Behaviour Science. «Stiamo provando a creare della musica che abbia toni e ritmo apprezzabili dai gatti». Ma concretamente questo cosa vuol dire? Uno dei primi campioni musicali elaborati dagli scienziati è stato basato sul ritmo delle fusa, un altro sul suono che i mici fanno succhiando il latte dalla mamma. Il primo passo, spiega Snowden, è valutare la musica nel contesto del sistema sensoriale del gatto. Felini che, per dirne una, vocalizzano a un’ottava più alta rispetto agli umani.
Fusa e schiene inarcate
Snowden e la ricercatrice con cui ha collaborato, Megan Savage, hanno portato nelle case in cui vivono 47 gatti un portatile munito di due speaker, e fatto loro ascoltare quattro diverse tipologie di musica: due di musica classica e due “canzoni per gatti”, create dal compositore David Teie della University od Maryland. La musica iniziava dopo un primo periodo di silenzio e, una volta cominciata, i ricercatori prendevano nota dei comportamenti dei gatti in risposta ai diversi brani.
Ronfare, camminare verso gli speaker e strusciarvisi addosso sono state considerate reazioni positive, mentre soffiare, inarcare la schiena e rizzare il pelo significavano invece una reazione negativa. Quando ascoltavano la musica felina, i gatti reagivano in modo decisamente migliore, oltre a farlo prima (dopo circa 110 secondi, mentre per una risposta alla musica umana ce ne mettevano mediamente 171).
Lo studio è il seguito di un’altra pubblicazione di Snowdon e Teie, che nel 2009 mostrarono come i tamarini dalla chioma di cotone (primati della specie Sanguinus oedipus) rispondano quando ascoltano una musica creata appositamente per loro. Quel lavoro portò gli scienziati a pensare che le stesse caratteristiche che comunicano e inducono stati emotivi negli esseri umani, presenti nella nostra musica, potrebbero applicarsi anche ad altre specie. Si tratta di tono, ritmo e timbro. Finora molti studi sulla musica e gli animali hanno prodotto risultati in conflitto: uno, per esempio, è arrivato alla conclusione che a molte specie la musica proprio non piace.
Tanto da fare
Ma i punti da chiarire sono parecchi, come ha dimostrato una ricerca condotta in Giappone su un gruppo di ratti. Gli animali ignoravano completamente le frequenze al di sotto dei 4000 hertz, il che significa (oltre al fatto che non hanno avuto modo di apprezzare il Mozart loro proposto) che praticamente la quasi totalità della nostra musica classica è loro indifferente. Un altro fraintendimento, precisa Snowdon, riguarda proprio l’effetto che la musica dovrebbe fare. Se basandoci sull’esperienza umana si parte dal presupposto che la musica classica sia rilassante, e si pensa abbia lo stesso effetto sugli animali, in realtà per una specie diversa dalla nostra potrebbe rivelarsi fastidiosa, sgradevole o eccitante.
Tutte queste considerazioni, insieme ai dettagli che vanno tenuti presenti durante le osservazioni via via che la ricerca procede, concorrono a eliminare la possibilità che gli animali rispondano alla musica come ci aspettiamo. O reagiscano in modo simile agli esseri umani. «Il problema è una somma delle varie questioni», commenta Snowdon. «Non la sentono, e per loro non è musica». Perlomeno non come la intendiamo noi. «Un reporter della National Public Radio è convinto che al suo cane piaccia la musica classica, perciò gliela fa sentire da NPR tutto il giorno», conclude lo scienziato. «Un altro ragazzo che lavora in una stazione che trasmette rock pensa invece che il suo cane apprezzi l’heavy metal, perciò trasmette heavy metal per ore. Ci sono un po’ di cose strane in corso. Ma nella maggior parte dei casi ancora non sappiamo quale sia l’effetto della musica sugli animali».
Nel caso vogliate provare a far ascoltare la musica per gatti al vostro felino la trovate qui. La mia gatta si è dimostrata piuttosto interessata.
Guarda il video: Ritmo animale
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Crediti immagine: Barbara Müller-Walter