SALUTE – Aumentano i tagli cesarei al Sud Italia. Uno studio dell’Università politecnica delle Marche, di Ancona, dimostra che, nonostante le raccomandazioni dell’Istituto mondiale di sanità di mantenere i cesarei tra il 5 e il 15% delle nascite, la loro frequenza continua a salire anche in paesi dotati di sufficienti servizi medici. In Italia, in particolare, i cesarei hanno raggiunto una percentuale elevatissima, il 38%: si tratta del dato più alto in Europa. Un gruppo di ricercatori dell’ateneo marchigiano ha valutato su scala nazionale i parametri socioeconomici e clinici di chi viene sottoposto a cesareo per scelta o per obbligo, e ha cercato di capire se tali parametri differissero tra donne con una preferenza a priori, rispettivamente, per il parto naturale e il cesareo.
Lo studio, condotto analizzando dati Istat dell’ultimo sondaggio Salute e sanità e pubblicato questa settimana sulla rivista Plos One, ha esplorato una serie di aspetti riguardanti la salute della popolazione italiana, come prevalenza di malattie croniche, stili di vita e abitudine all’uso del sistema sanitario. Il sondaggio Istat ha raccolto dati da più di 50mila famiglie e quasi 130mila persone, rappresentative della popolazione italiana in termini di età, genere e distribuzione geografica. L’analisi del gruppo marchigiano è stata ristretta a un campione di circa 2.500 donne al primo parto, cui è stato chiesto sia in che modo avessero partorito (naturale, cesareo elettivo, cesareo non programmato), sia che modalità avrebbero scelto, prima del parto, se ne avessero avuto la possibilità.
Sono quindi state analizzate variabili relative a area di residenza (isole, sud, centro, nord-est, nord-ovest), status socioeconomico (livello educativo, classe sociale di appartenenza), condizioni cliniche (per esempio, diabete o ipertensione durante la gravidanza, rischio di aborto), oltre a prendere in considerazione informazioni su luogo in cui è avvenuto il parto (pubblico o privato) e tipo di diagnosi prenatale utilizzata.
Benché soltanto un decimo delle partecipanti abbia dichiarato di preferire il cesareo, la percentuale effettiva di cesarei praticati ha raggiunto quasi il 40%: il profilo tipico della donna favorevole al cesareo corrisponde a quello di una donna sopra i 35 anni, meridionale, utente di strutture private. Si è visto, invece, che la percentuale di cesarei elettivi diminuisce con l’abbassarsi della classe sociale, e con la frequenza di partecipazione a corsi pre-parto. In sostanza, si è visto che una proporzione rilevante di donne che avrebbero preferito il parto naturale ha cambiato idea o è stata reindirizzata verso il cesareo. Secondo gli autori dello studio, guidati da Pamela Barbadoro, non è stato possibile spiegare, con le variabili incluse nel modello, la maggiore quantità di cesarei al sud.
I risultati sembrano suggerire che le preferenze per il cesareo dipendano da fattori regionali relativi ai background socioculturale e sanitario, che influiscono sulle scelte materne. Le differenze nelle abitudini sanitarie dovranno quindi essere considerate attentamente nel momento in cui riforme in senso federativo, in discussione al momento in Italia, delegheranno agli organi regionali responsabilità crescenti, e queste dovranno gestire da sole eventuali deficit delle loro strutture sanitarie. Secondo gli autori dello studio, il fatto che molte donne meridionali abbiano partorito con un cesareo anche quando avrebbero preferito il parto naturale dovrebbe far suonare un campanello d’allarme e spingere verso interventi di politica sanitaria tali da ridurre il tasso di cesarei non voluti.