IL PARCO DELLE BUFALE

Di gerani “anallergici” e pessima informazione

IL PARCO DELLE BUFALE – C’è un certo fermento in rete per il cosiddetto “geranio antiallergico”, una nuova varietà OGM che – a quanto si legge in giro (su lastampa.it l’esempio più pittoresco) – farebbe la felicità di chi tanto vorrebbe un bel balconcino pieno di gerani in fiore, ma non può permetterselo perché allergico al polline. Wow! Chiediamo subito un commento a Susanna Voltolini, allergologa dell’Ospedale San Martino di Genova, grande esperta di pollini, ed è una doccia fredda. «Gerani anti-allergie? È una stupidaggine: il polline di questa pianta non è affatto allergenico». Ops. Ma allora da dove viene la notizia?

In realtà i gerani OGM ci sono davvero, prodotti da un gruppo di ricercatori spagnoli e descritti in dettaglio in un articolo pubblicato su BMC Plant Biology . Si tratta di due linee differenti: una contiene un costrutto genetico che permette la modulazione della quantità di un enzima coinvolto in fenomeni di senescenza. Le piante con questo transgene mostrano una maggior ramificazione, fiori un po’ più piccoli ma molto più colorati e un marcato ritardo nell’invecchiamento delle foglie (una caratteristica particolarmente utile sia per i produttori sia per chi ama coltivare gerani). L’altra, invece, contiene un costrutto che induce una modificazione delle antere, le strutture maschili in cui si forma il polline. Queste piante, dunque, non producono polline. E da qui la confusione: siccome il polline di molte piante provoca allergie, i nuovi gerani che ne sono privi devono per forza essere anallergici, con buona pace del fatto che lo sono già naturalmente. La confusione è tutta mediatica, perché l’articolo originale (serio e corretto) di presunte proprietà anallergiche del geranio in questione proprio non ne parla.

Ma allora perché perdere tempo a produrre fiori senza polline? Semplice: perché questi fiori non possono riprodursi e così non c’è alcun rischio che possano trasferire il loro gene “in più” ad altre piante. Insomma, perché così si ottiene un OGM automaticamente incapace di diffondersi nell’ambiente. «L’obiettivo, in un prossimo futuro, è unire in un’unica linea i due costrutti: quello per ritardare l’invecchiamento e quello per garantire sterilità» ci raccona Luis Canas Clemente, uno degli autori dello studio.

Quella della trasformazione genetica di piante ornamentali non è una novità: la tecnica è usata nei laboratori di tutto il mondo, sia per capire meglio la fisiologia delle piante stesse, sia come strumento per migliorarne le caratteristiche di interesse commerciale (il colore, il numero o la grandezza dei fiori e delle foglie, la vita media, la velocità di appassimento e così via). Anche se, meglio dirlo subito, nella grande maggioranza dei casi, la strada tra il laboratorio e il mondo esterno è ancora molto lunga. «In Italia, come in molti altri paesi europei, è assolutamente vietata la commercializzazione di piante ornamentali geneticamente modificate» spiega Antonio Mercuri, a capo del gruppo di miglioramento genetico dell’Unità di ricerca per la floricoltura e le specie ornamentali del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura.

Anzi, per quanto riguarda il nostro paese, Mercuri aggiunge che anche la sola ricerca nel settore si sta facendo sempre più difficile. «Si fatica a ottenere dal Ministero per le politiche agricole o dalle regione fondi per ricerche che coinvolgano trasferimenti genetici. Spesso, quando si scrivono i progetti, bisogna cercare di mascherare il concetto, altrimenti si può stare sicuri che non si vedranno finanziamenti. Una condizione che ci sta facendo perdere competitività molto velocemente». C’è bisogno di un commento?

Immagine di s58y / Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance