SALUTE – Una delle caratteristiche più preoccupanti di HIV è la sua capacità di mutare continuamente e in modo veloce. Se da un lato molte mutazioni sono svantaggiose per il virus, rendendolo non più in grado di replicare, altre sono responsabili di resistenze ai farmaci in uso. Più in generale la grande ‘variabilità genetica’ causata da queste numerose mutazioni rende difficile lo sviluppo di vaccini che possano veramente funzionare. Questa volta invece l’identificazione di una nuova mutazione, chiamata 172K, sembra portare buone notizie: in combinazione con altre mutazioni sarebbe associata a maggiore sensibilità a due classi di farmaci antiretrovirali.
Si tratta di un polimorfismo, cioè di una variante genetica presente in più dell’1% dei ceppi virali circolanti, che viene mantenuta per selezione naturale. In questo caso la prevalenza è del 3% e la sua presenza non interferisce con le normali attività del virus, ad esempio con la sua aggressività e capacità replicativa. Oltre a presentarsi in campioni clinici, quindi prelevati dai pazienti, la mutazione è stata rintracciata anche nei sottotipi usati in laboratorio, come si legge nello studio pubblicato su Journal of Biological Chemistry, e guidato da Stefan Sarafianos, professore di microbiologia e immunologia molecolare alla School of Medicine dell’Università del Missouri.
La mutazione 172K renderebbe il virus più sensibile sia agli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI), sia ai non-nucleosidici (NNRTI). La trascrittasi inversa virale è l’enzima responsabile della retrotrascrizione dell’RNA del virus (l’HIV è dotato di un genoma a RNA) in DNA adatto a integrarsi poi nel genoma del paziente per sfruttare la macchina replicativa della cellula dell’ospite. Gli NRTI funzionano con l’inganno: sono simili ai nucleosidi che costituiscono normalmente la catena del DNA ma, inserendosi al posto di un nucleoside ‘normale’, possono bloccare l’ulteriore allungamento della catena. Gli NNRTI agiscono invece bloccando direttamente il sito d’azione dell’enzima.
Le terapie antiretrovirali sono costituite da un cocktail di farmaci, studiati dai medici in base alle caratteristiche del paziente, alla fase della malattia e alle peculiarità del ceppo virale: per questo esistono database costruiti per permettere agli infettivologi di verificare il significato delle mutazioni e resistenze riscontrate nel singolo paziente. “La nostra scoperta, commenta Sarafianos, sarà di grande utilità ai medici perché verrà integrata in questo database. Quando scopriranno che il loro paziente è stato infettato da sottotipi di HIV che portano il polimorfismo 172K, in unione ad altre mutazioni, sapranno anche di poter fare affidamento su queste due classi di farmaci, NRTI e NNRTI”.
Massimo Galli, professore di malattie infettive dell’Università di Milano all’Ospedale Sacco, ha così commentato questo studio: “Sarafianos e collaboratori hanno condotto uno studio in vitro molto interessante, ma non è detto, purtroppo, che la maggior suscettibilità in vitro agli NNRTI e NRTI dei ceppi portatori di certe mutazioni, se associate a 172k, si rifletta nel mantenimento di una soddisfacente risposta terapeutica in vivo. Per quanto riguarda in particolare gli NNRTI, basta una sola mutazione della trascrittasi inversa in una delle posizioni strategiche per il conferimento di resistenza per renderli inefficaci. Il fatto stesso che esistano ceppi da pazienti e di laboratorio che portano sia questo polimorfismo, sia le mutazioni conferenti resistenza, ci dice che la presenza di 172k non impedisce che, in condizioni particolari, come ad esempio un’insufficiente adesione alla terapia, con troppe ‘vacanze terapeutiche’ o dimenticanze, si selezionino queste mutazioni. Bisognerà comunque capire, ma ci vorranno studi nei pazienti, se la casuale presenza di questo polimorfismo in un virus ‘selvaggio’, isolato cioè in pazienti che non hanno ancora assunto alcun farmaco, possa rappresentare un fattore predittivo per un più frequente successo terapeutico degli NNRTI”.
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