CRONACA – Com’è nata la vita sul nostro pianeta? È uno dei quesiti più affascinanti, e rimane tuttora uno dei grandi misteri scientifici irrisolti. Numerosi studi si sono occupati dell’argomento, dando vita a teorie e dibattiti. La nascita della vita a partire da sostanze inanimate è un evento altamente improbabile, e sono tanti gli ostacoli che qualsiasi ipotesi in questo senso è costretta ad affrontare. Una delle difficoltà maggiori è individuare quali fonti energetiche potessero alimentare le funzioni vitali delle prime protocellule nell’inospitale oceano primordiale.
Un nuovo studio, pubblicato su Cell, esamina un’ipotesi: le prime cellule avrebbero potuto ricavare l’energia di cui avevano bisogno dalla peculiare geochimica dei camini idrotermali, fratture della crosta terrestre da cui fuoriesce acqua geotermicamente riscaldata, prova ne sarebbero anche alcune analogie di funzionamento fra i camini e alcuni batteri primordiali. I camini idrotermali sono un microambiente sottomarino da tempo considerato la più probabile culla della vita, scoprendo notevoli similitudini con la biochimica di alcuni batteri primitivi.
Gli autori, Nick Lane e Willian F. Martin, biologi molecolari dell’University College London e dell’Università di Düsseldorf, sono partiti da questa semplice domanda: come facevano le prime protocellule a compiere il proprio metabolismo in assenza dei processi catalitici effettuati dagli enzimi, visto che questi non si erano ancora evoluti? Senza enzimi, le reazioni metaboliche dovevano richiedere un enorme apporto energetico. Dove trovavano questi primi organismi l’energia necessaria?
Le pareti semiconduttrici dei camini, costituite da minerali solfoferrosi, sono attraversate da un gradiente protonico simile a quello che attraversa la membrana cellulare dei batteri capaci di proliferare grazie solo ad anidride carbonica e idrogeno.
Grazie a una serie di misure e modelli sperimentali, gli scienziati sono riusciti a dimostrare che il gradiente protonico dei camini idrotermali sarebbe stato in grado di guidare l’assimilazione di carbonio organico permettendo la formazione delle prime protocellule nei micropori delle pareti dei camini. Secondo questa ipotesi dunque, la vita sarebbe dunque nata negli abissi marini grazie all’energia geochimica proveniente dal sottosuolo.
Nel corso dell’evoluzione, la permeabilità via via più selettiva delle membrane delle cellule avrebbe portato poi alla trasduzione dei naturali gradienti protonici nei gradienti biochimici di sodio che troviamo nella maggior parte delle cellule attuali.
Le tracce dell’origine della vita sarebbero dunque impresse ancora oggi in una forma di conservazione dell’energia metabolica che, come il codice genetico, è universale e alla base della vita stessa. Nelle parole di Lane, uno degli autori, “La vita è, in effetti, una reazione secondaria di un processo che consuma energia e gli organismi viventi richiedono grandi quantità di energia per continuare a vivere”.
Crediti immagine: National Oceanic and Atmospheric Administration (Dominio Pubblico)