CRONACA – Continua la lotta contro la valutazione della ricerca e dei ricercatori in base a indici bibliometrici, primo dei quali il Journal Impact Factor della società Thomson-Reuters che pur felice di venderlo mette in guardia contro questo uso improprio. Come dice il nome, il fattore d’impatto (IF) riguarda le riviste, non misura né l’importanza dei risultati né la competenza di chi li pubblica.
Questa volta gli viene dato un assalto che se fosse ottobre sarebbe il Palazzo d’inverno. Come la rivoluzione dell’open access, questa è guidata dal biologo Harold Varmus, oggi direttore del National Cancer Institute (anche se dal 2005 giura che l’anno prossimo va in pensione). Con la stessa strategia usata per fondare la Public Library of Science dopo il tentativo, fallito, di imporre l’open access negli National Health Institutes che dirigeva negli anni ‘90, da tre anni raccoglieva commenti, adesioni, correzioni a un suo piano.
Durante il convegno di dicembre a San Francisco, l’American Society for Cell Biology ne aveva approvato il manifesto. La settimana scorsa è stato pubblicato con le adesioni ottenute finora. Tante, una “insurrezione” secondo Science Insider. I firmatari si impegnano a “usare la scienza per valutare la ricerca” e a rispettare 18 comandamenti. A parte il primo (non usare solo l’IF) sono divisi per funzioni: enti di finanziamento, enti di ricerca, editori, ricercatori, organizzazioni che producono metriche. Queste ultime sono innanzitutto Thomson Reuters che le pubblica nel (costoso) Journal of Citations Reports.
DORA ci sembra tempestiva, visti i risultati dubbi e i comportamenti disonesti generati dall’importanza – per la carriera e i finanziamenti – delle pubblicazioni su riviste con un IF elevato. Stupisce un po’ che le adesioni italiane siano così poche e del tutto assenti quelle dei fisici. Sarà che qui la primavera tarda?
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