Tra critiche e potenzialità, la sfida dell’ANVUR vista dal neopresidente Andrea Graziosi
"È normale che il valutatore non sia amato e sicuramente abbiamo fatto degli errori". Andrea Graziosi commenta l'attività dell'ANVUR, di cui è il nuovo presidente.
APPROFONDIMENTO – Andrea Graziosi dal 2 maggio 2016 è presidente dell’ANVUR, l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca. Classe 1954, è professore ordinario di Storia contemporanea all’università “Federico II” di Napoli ed è stato vicepresidente dell’Agenzia dal 2014. In precedenza ha presieduto il Gruppo di esperti della valutazione (GEV) dell’area disciplinare 11.
Con lui abbiamo affrontato alcuni problemi dell’Agenzia di valutazione e chiesto di rispondere ad alcune critiche mosse nei confronti dell’ANVUR.
Il lavoro dell’ANVUR dovrebbe contribuire a stabilire standard minimi qualitativi a livello nazionale. A che punto siamo di questo percorso e qual è secondo lei la percezione generale nel mondo accademico del lavoro dell’Agenzia?
La valutazione della ricerca è bene avviata, anche perché è la più facile, è quella in cui ci sono più modelli e più standard internazionali. È giusto partire dalla ricerca, perché è l’anima dell’università. Per la didattica abbiamo appena cominciato: siamo indietro, ma non siamo i soli. Abbiamo invitato tutte le università a compilare alcune schede per rendere conto delle attività svolte, ma serve un grande lavoro di rifinitura. Stiamo cercando di capire come valutare la didattica: non è possibile partire dai singoli. Anche il livello di professionalità nelle università (le cosiddette professional school), siamo agli inizi. Abbiamo appena importato il problema e procediamo per tappe.
Sulla percezione dell’Agenzia all’esterno direi che sicuramente c’è una minoranza che non ci ama, non so quanto sia grande. È normale che il valutatore non sia amato e sicuramente abbiamo fatto degli errori. In generale però le università apprezzano il nostro lavoro. La VQR è stata molto contestata a causa degli scatti di anzianità che i docenti si sono visti negare. Il dato ufficiale dice però che il 94% ha presentato i propri prodotti di ricerca. Si tratta di una percentuale estreamente alta.
L’ANVUR ha dovuto inventare la valutazione in Italia e credo che la grande maggioranza del corpo docente ci apprezzi.
La giovane età dell’ente e il difficile compito cui è chiamato a rispondere lo espongono a una serie di critiche, a partire da quelle mosse ai parametri di valutazione. Come si può assicurare lo stesso trattamento a discipline così diverse tra loro e – all’interno dello stesso ambito scientifico – tra il lavoro di un teorico e quello di uno sperimentale, che hanno necessità e tempi di pubblicazione molto diversi?
Non si tratta di assicurare lo stesso trattamento. È stato uno degli inevitabili errori iniziali. Più si valutano e si studiano le cose, più si scopre quanto sono diverse. La matematica per esempio è affine alle materie umane come pratica di pubblicazione. L’omogeneità di trattamento consiste nel considerare le differenze e garantire una certa normalizzazione dei dati. Il problema diventa assicurare equità e rigore per tutti i settori e verificare che non ci siano mai confronti diretti tra aree diverse perché questo significherebbe fare ingiustizie. Una valutazione colta è una valutazione differenziata.
Prima di tutto occorre rendere il quadro omogeneo. La prima VQR ha preso in considerazione sette anni, la seconda quattro. Sarebbe bene stabilire un certo orizzonte temporale e mantenerlo. Ancora meglio sarebbe trovare un sistema per aggiornare i risultati ogni anno: fornire una fotografia più precisa e aggiornata anno per anno sarebbe più utile.
Credo però che la vera frontiera sia la valutazione della didattica. In futuro si porrà il problema delle professional school: che interesse ha l’università ad avere un grande avvocato o un grande medico a insegnare? Sono tutte frontiere aperte. Un’altra questione riguarda i paletti tra le discipline: siamo dovuti partire dalle aree CUN (Consiglio universitario nazionale, ndr), ma si tratta di una classificazione inadatta per la valutazione. L’area 11 per esempio riunisce storici, filosofi, antropologi, cartografi. Dobbiamo creare aree omogenee di valutazione. Nonostante tutti i limiti, ritengo che la prima ANVUR abbia fatto un lavoro straordinario.
Nel 2012 l’ANVUR ha classificato come riviste scientifiche una serie di pubblicazioni che hanno destato perplessità, da quelle più generaliste (quotidiani ecc.) ad altre più specializzate (rivista di suinicoltura). Lei non era ancora nel Consiglio direttivo, ma vorrei comunque chiederle un commento
Nell’estate del 2012 l’ANVUR ha dovuto controllare in tempi strettissimi, usando comitati di esperti, le decine di migliaia di riviste con cui i docenti e ricercatori italiani avevano popolato i loro siti docente, elencando le loro pubblicazioni (tra cui, lecitamente, potevano inserire anche quelle non scientifiche, come molti avevano fatto). Tutte queste riviste andavano divise tra classe A, scientifiche e non scientifiche ed era la prima volta che un’operazione del genere veniva fatta nel nostro Paese.
Direi che il fatto che qualche decina, o anche un centinaio di riviste chiaramente non scientifiche siano riuscite a superare questo primo filtro, per essere poi peraltro prontamente eliminate ad un secondo controllo (prendemmo molto sul serio le critiche, che considerammo contributi), non solo non mi stupisce, ma non inficia assolutamente ai miei occhi il grande valore dell’operazione di classificazione compiuta allora. Le cose non nascono perfette: il bicchiere quasi pieno fu subito rappresentato dalle migliaia di riviste correttamente collocate. Oggi quelle liste iniziali sono state più volte perfezionate con la collaborazione di decine di studiosi di valore e il sistema funziona.
Alcuni sostengono che, pur essendo un organo tecnico, l’Agenzia abbia nei fatti un ruolo politico. Le prove portate a sostegno di questa tesi sono alcune dichiarazioni che sarebbero basate su opinioni personali e non sui dati. Che ne pensa?
Questo è semplicemente non vero. L’ANVUR applica con grande attenzione la normativa stabilita dal parlamento e dal ministero, e ha il massimo rispetto per l’autonomia degli atenei, giustamente tutelata dalla legge. Nessun atto compiuto dall’Agenzia era o è privo di una base normativa, cosa peraltro ovvia se no sarebbe stato annullato. Non mi riferisco a giudizi su singoli casi, che ci sono stati contestati nel merito, come è giusto e lecito, ma agli atti fondamentali, come quello di giudicare per esempio in materia di riviste. Faccio inoltre presente che le dichiarazioni contestate erano opinioni espresse in un dibattito, non certo l’espressione di una linea politica dell’Agenzia, che non c’è né può esservi, ferme restando le personali opinioni dei suoi membri.
Cosa ne pensa del fatto che l’ANVUR non faccia attualmente parte dell’ENQA?
Per diventare membri di ENQA occorrono due condizioni: avere un patrimonio consolidato di visite agli atenei all’interno del sistema AVA (e noi abbiamo cominciato tali visite solo di recente) e avere una documentazione in inglese dei materiali di queste visite e di altre attività di ANVUR relative all’accreditamento. Ora abbiamo sia quel materiale, sia un contratto con un’impresa di traduzione. Non appena le traduzioni saranno terminate potremo quindi chiedere a ENQA di avviare la procedura di ammissione, come è mia ferma intenzione fare. A quanto mi risulta ENQA le prende in considerazione in genere dopo circa un anno.
Tra le critiche che vengono mosse all’Agenzia c’è la nomina di Paolo Miccoli nel Consiglio direttivo dell’ANVUR. Alcuni hanno fatto notare che il documento programmatico con cui è stato scelto conteneva ampi stralci di altre fonti che però non sono state citate dal professore. Qual è la sua opinione in merito alla vicenda?
Stimo molto professor Miccoli. Invito tutti ad andare a vedere il suo curriculum. Si tratta di una persona che riceve continui attestati di stima e che gode della fiducia del mondo della medicina e non solo. I plagi si fanno negli articoli scientifici pubblicati. Il documento in questione è privato, non è una pubblicazione scientifica. Credo che il caso sia stato montato per colpire non tanto l’Anvur, ma la politica della valutazione e la ricerca. Il Consiglio direttivo dell’Agenzia era senza un medico da oltre due anni e mezzo, da quando cioè Giuseppe Novelli, che io ho sostituito, ha presentato le proprie dimissioni.
Ai fini del lavoro dell’Agenzia, che ruolo giocano le “differenze ambientali”, cioè le caratteristiche che definiscono il territorio nel quale è inserito l’ateneo? Non si rischia di penalizzare chi è più in difficoltà già in partenza?
Le differenze ambientali sicuramente esistono, anche se ci sono Paesi, come gli Stati Uniti, che ne hanno di ancora più marcate. Se in un sistema del genere si introducono, come è giusto che sia, forti elementi di autonomia – regionale e universitaria – è chiaro che la differenziazione aumenta. Io mi sono convinto che il ruolo di un’agenzia come l’ANVUR sia tentare di far convergere le parti del sistema che riescono a raggiungere standard comuni. Per gli altri, è la politica che deve intervenire e affrontare il problema.
Una quota significativa del Fondo di Finanziamento Ordinario è ormai distribuita in base al merito, ma nel corso degli anni le risorse si sono assottigliate. Viste queste premesse, esiste il rischio che la parte dei fondi tolti a un ateneo meno virtuoso contribuiscano ad accelerare il suo declino?
Il vero problema è che l’ANVUR è stata creata in un momento di vacche magre e quindi i risultati delle valutazioni arrivano in un periodo di riduzione delle risorse. È nei momenti di crisi che i sistemi di valutazione servono. Le prime risposte vere su questo argomento secondo me le avremo con i risultati della seconda VQR. Mi auguro che si registri un effetto di convergenza verso standard comuni. Presto sapremo se l’ANVUR ha avuto per la maggioranza delle università italiane un effetto di farle riconvergere verso standard più alti o se le ha separate ulteriormente. La relazione sarà presentata al ministro alla fine di ottobre e sarà disponibile per il Paese entro fine anno. Detto tutto questo, ritengo anch’io che la politica debba investire più soldi nell’università e nella ricerca.
Recentemente alcuni docenti hanno boicottato la VQR. Lei ritiene che in futuro possano essere corretti alcuni dei suoi meccanismi oppure pensa che la valutazione funzioni in modo efficiente?
Nel 6% di ricercatori che non hanno aderito vanno considerati anche gli inattivi, stimabili in un 3-4% (nella prima VQR erano il 5%). Questo significa che i protestatari puri sono stati circa il 3% del totale. Secondo me occorre distinguere tra chi non vuole la VQR a prescindere – posizione che non condivido ma rispetto – perché seriamente convinto che danneggi la ricerca italiana e chi è molto innervosito dal blocco di 5 anni degli scatti di anzianità. Credo che questi ultimi siano la quota più grande e hanno ragione a protestare. Va però evidenziato che il loro malessere riguarda un aspetto diverso da quello della valutazione.
Qual è dal suo punto di vista il maggior punto di forza dell’ANVUR e quale il suo più grande difetto?
Il pregio e il difetto è che siamo un’agenzia molto piccola, addirittura microscopica rispetto a quelle di altri Paesi. L’ANVUR è composta da persone brave, intelligenti e capaci, che ci credono. Soprattutto nei primi due anni l’Agenzia ha lavorato con molto rigore e passione. Il fatto di essere piccoli a volte ci impedisce di realizzare tutto quello che vorremmo. Siamo una quindicina di funzionari, credo che se riuscissimo ad arrivare a 25-30 potremmo assicurare una gestione più efficiente, soprattutto in futuro. Altri Paesi, come il Regno Unito, hanno oltre 100 persone che si occupano della valutazione della didattica e della ricerca.
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