CRONACA – “Gli argonauti riuscirono a passare attraverso lo stretto di Messina, sopravvivendo ai mostri Scilla e Cariddi, e così fece anche Enea. Ma l’Homo sapiens? Come ci è arrivato in Sicilia?”. Un’introduzione di Giovanni Lelli dell’Enea, presentando i risultati dell’ultima ricerca che, dopo due anni di collaborazioni tra le Università di Roma, Napoli, Palermo, Trieste e Messina, il Max Planck Institute, l’Australian National University, l’ISPRA e l’IAMC-CNR ha gettato nuova luce sulla presenza dell’Homo sapiens sull’isola. O meglio, su come ci è arrivato. Lo studio verrà pubblicato sul Journal of Geological Society of London, ed è stato presentato il 17 settembre a Roma presso la sede dell’Enea.
I ricercatori si sono serviti del calcolo delle variazioni del livello del mare e della modellistica oceanografica per analizzare i dati geomorfologici dello stretto di Messina, scoprendo come si è modificato negli ultimi 20.000 anni. In questo modo hanno potuto osservare che nel corso dell’ultima glaciazione, in un periodo compreso tra 27.000 e 17.000 anni fa, tra Europa e Sicilia emerse un ponte continentale roccioso, la cosiddetta sella sommersa dello Stretto di Messina. Grazie a questo ponte, sia l’Homo sapiens che altri grandi mammiferi a ridotta capacità natatoria, come l’Equus hydruntinus (asino europeo), sono riusciti finalmente a migrare verso l’isola dopo averla a lungo osservata da lontano, probabilmente da quella che è l’attuale Calabria. La sella si trova ora a una profondità di 81 metri sul livello del mare, e la parte sommersa dello stretto di Messina si solleva di 0,9 millimetri ogni anno.
La migrazione dal continente alla Sicilia è stata dunque piuttosto tardiva, sia per i nostri antenati che per l’asino europeo, un equide dagli arti sottili e dalle piccole narici, i cui resti sono stati rinvenuti nella grotta di San Teodoro, e datati circa 22.000 anni fa. Sappiamo infatti che nel resto dell’Europa la diffusione dell’Homo sapiens si colloca tra 35.000 e 40.000 anni fa, e che l’Equus hydruntinus cominciava a galoppare in giro per la Francia provenzale già 400.000 anni fa. Verrebbe dunque da chiedersi come mai le due specie non attraversarono lo stretto sfruttando la presenza di piccole isole emerse tra le coste, oppure quando c’erano solamente poche centinaia di metri a separarle. La risposta si nasconde nella mitologia, sotto le mentite spoglie di Scilla e Cariddi, che non erano altro se non insidiose correnti e gorghi in corrispondenza dello stretto di Messina. “Grazie alla modellistica oceanografica” ha spiegato Gian Maria Sannino dell’Enea, “siamo infatti in grado di riprodurre le correnti che lo attraversavano a quel tempo. Sfruttando le equazioni di Navier-Stokes e sottoponendo i dati al super calcolatore dell’Enea, abbiamo scoperto che 20.000 anni fa erano circa quattro volte più forti di quelle attuali, valutate fino a 16 nodi con vortici e rimescolamenti che rendevano a dir poco impossibile un’attraversata a nuoto, o con delle imbarcazioni rudimentali.”
E i fossili? Cosa ci possono raccontare delle migrazioni verso la Sicilia? “Grazie alle datazioni al radiocarbonio sui resti fossili” spiega Maria Rita Palombo dell’Università La Sapienza “i ricercatori hanno capito che tutte le ossa ritrovate non superavano di molto i 17.000 anni d’età, confermando quanto emerso dagli studi di modellistica. I fossili offrono infatti molti indizi su come si sono evoluti gli esseri viventi, e le caratteristiche della fauna insulare ci permettono di capire qual era l’entità della barriera costituita dallo stretto di Messina.” Gli animali che popolano le isole sono infatti soggetti a forti modifiche morfologiche, specialmente per quanto riguarda la taglia, e hanno una biodiversità ridotta. In Sicilia, 500.000 anni fa, c’erano elefantini nani (più piccoli di quelli che conosciamo del 400%), tartarughe, ramarri e civette giganti, cigni endemici poco portati per il volo. Poi, emersa la sella, il cambiamento e le grandi dimensioni: carnivori, artiodattili, elefanti più imponenti e cavalli. “Se la barriera è molto forte, la separazione tra le specie continentali e quelle insulari diventa non solo geografica, ma anche genetica” aggiunge Palombo “si parla di gigantismo e nanismo insulare. Abbiamo notizie di un toporagno di 60 cm, probabilmente carognivoro e non insettivoro come lo conosciamo ora: non oso altrimenti pensare a che razza di insetti potessero esserci nei dintorni! E che dire, scienza e mitologia non sono poi così distanti tra loro: quando i Greci misero piede in Sicilia, probabilmente si imbatterono nei resti ossei dei crani degli elefantini nani: nacque così la leggenda dei ciclopi”.
Elementi di genetica delle popolazioni combinati alla paleontologia e alla modellistica marina hanno dunque permesso di fare luce sulle migrazioni dell’Homo sapiens fuori dal continente. “Nonostante le simulazioni siano una risorsa preziosissima, una mappa completa di tutta la batimetria del Mediterraneo non è ancora stata realizzata” spiega Sannino “poiché i costi da affrontare quando si usa un calcolatore come quello dell’Enea sono enormi, e bisogna, prima di iniziare qualsiasi tipo di indagine, essere certi della validità e della completezza dei dati che si vuole elaborare”.
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