POLITICA – Una clausola nelle linee guida per il programma europeo di ricerca Horizon 2020 esclude dai prossimi finanziamenti i centri di ricerca israeliani con sede nei territori occupati. Forse dovevano essere esclusi prima.
Su Nature, Alison Abbott riferisce dello scontro tra la Commissione Europea e il governo israeliano:
Dal 1996, Israele collabora ai programmi di ricerca quale paese associato, uno dei pochi paesi ad avere questo status… Ne ha tratto benefici enormi. Ha versato solo €534 milioni per partecipare al Settimo Programma Quadro, il predecessore dii Horizon 2020, ma alla fine dell’anno ne ricaverà un guadagno netto di €634 milioni.
Il governo israeliano minaccia di ritirarsi da Horizon 2020 per rivendicare la propria sovranità sui territori. Il paradosso, scrive Alison Abbott, è che:
limitare i finanziamenti di Horizon 2020 ai territori non occupati avrebbe un impatto minimo perché quasi tutti gli scienziati israeliani lavorano entro le frontiere del 1967. Solo uno dei beneficiati dal Settimo Programma Quadro, ne sarebbe stato escluso con le nuove linee guida: la società di cosmetici Ahava Dead Sea Laboratories a Mitzpe Shalem sulla riva occidentale del Giordano. Oggi solo €1,5 milione circa finisce nei territori occupati.
€1,5 milioni sembrano pochi, ma hanno suscitato proteste in molti paesi perché da un lato Mitzpe Shalem è una colonia fondata nel 1970 e pertanto considerata illegale dai trattati internazionali sottoscritti dall’Unione Europea; dall’altro l’azienda viola i diritti umani per produrre creme di bellezza che contengono in media un 90% d’acqua.
Quest’acqua non proviene dal Mar Morto: è sottratta ai palestinesi ai quali è vietato scavare pozzi sulle proprie terre. Per sopravvivere, ci provano lo stesso e i pozzi vengono distrutti dall’esercito. Così i palestinesi sono costretti a comprare l’acqua portata dai camion cisterna israeliani.
Lo ha documentato da Codepink, l’Ong che da anni chiama al boicottaggio di Ahava.
Crediti immagine: Gilgamesh, Wikimedia Commons