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Ahmadreza Djalali: ricerca scientifica e diritti umani

L’esecuzione del medico e ricercatore è stata posticipata per due volte e martedì è stata nuovamente posticipata di una settimana, a mercoledì 16 dicembre.

Aggiornamento, 29 gennaio 2021 

Nella giornata del 28 gennaio, l’attivista iraniana per i diritti umani Narges Mohammadi ha rilasciato un’intervista alla svedese Tv4 in cui ha dichiarato che, durante la sua detenzione nel carcere di Evin, ha visto una sola volta Ahmadreza Djalali nella stanza riservata alle visite.

Mohammadi, ingegnere iraniana che ha trascorso otto anni in carcere per aver difeso i diritti umani nel suo paese, è stata liberata nell’ottobre dello scorso anno e ha riportato di aver visto il ricercatore iraniano-svedese in condizioni di salute assolutamente preoccupanti, vittima di torture e terrore psicologico. Mohammadi, inoltre, dichiara che la condanna a morte di Ahmadreza Djalali è contro la legge della repubblica islamica e che tutto ciò di cui viene accusato è falso.  Anche lo scorso 21 dicembre, durante la presentazione virtuale, promossa da PenAmerica, del film “Nasrin” dedicato alla vita di Nasrin Sotoudeh –  l’attivista iraniana per i diritti umani soprannominata “Mandela dell’Iran” – l’artista iraniana Parastou Forouhar, che attualmente vive in Germania, dichiarava come la stessa Nasrin, durante le poche settimane di libertà che le vennero concesse per sottoporsi a cure mediche, le comunicasse la necessità di un’urgente e potente pressione per la liberazione dello scienziato Ahmad Reza Jalali.  La dichiarazione di Narges Mohammadi, invece, è avvenuta pochi giorni dopo l’esecuzione, il 25 gennaio scorso, del wrestler professionista Mehdi Ali Hosseini.


Il CRIMEDIM Research Center in Emergency and Disaster Medicine dell’Università del Piemonte Orientale è stato l’ultimo ente di ricerca in cui ha lavorato Ahmadreza Djalali, medico e ricercatore iraniano con doppia nazionalità – iraniana e svedese –  arrestato nell’aprile del 2016 a Teheran, dove era stato invitato dall’Università per una conferenza scientifica. Da allora, a seguito dell’allarme dato da Luca Ragazzoni, medico ricercatore, collega di lavoro e amico di Ahmad, il mondo accademico, assieme ad Amnesty International e all’associazione Scholars at Risk, sta portando avanti una campagna a livello internazionale per il rilascio del ricercatore iraniano che, nell’agosto del 2017, è stato condannato a morte da una corte di giustizia di Teheran. Il governo iraniano accusa Djalali di spionaggio e di collaborazione con Israele senza tuttavia aver mai fornito prove, negando fin dall’inizio di questa vicenda la possibilità di difesa in tribunale da parte del ricercatore.

Risale al 24 novembre l’ultimo contatto di Ahmadreza Djalali con la moglie, Vida, che vive in Svezia assieme ai due figli. “Dopo un lungo periodo di stallo, in cui il ricercatore è stato detenuto nella prigione di Evin assieme ad altri prigionieri, la moglie ha potuto risentire Ahmadreza in una telefonata di due minuti, in cui le diceva che quella era l’ultima chiamata perché sarebbe stato messo prima in isolamento, a Evin, e poi trasferito al penitenziario di Rajai Shahr, dove avvengono le esecuzioni. Poi questo trasferimento non è mai avvenuto” racconta Ragazzoni a OggiScienza. “L’esecuzione è stata posticipata per due volte e martedì (8 dicembre n.d.r.) è stata nuovamente posticipata di una settimana, a mercoledì 16 dicembre. Delle sue condizioni di salute non si conosce molto” aggiunge Ragazzoni “e, da medico, non posso permettermi di fare valutazioni sulla base delle informazioni che si hanno a disposizione”. Non è dato sapere se abbia contratto o meno la Covid-19, un testimone oculare ha raccontato di come abbia perso tantissimo peso, come del resto testimonia la foto diffusa da Amnesty International.

“Nemmeno la moglie sa quali sono le sue reali condizioni di salute” sottolinea il ricercatore del CRIMEDIM che lo scorso 9 dicembre, dopo le notizie ricevute da Vida, ha organizzato e promosso una maratona di 24 ore su YouTube per la liberazione di Ahmad. Vi hanno partecipato figure come il rettore del Karolinska Institutet, l’Università che assegna i premi Nobel per la Medicina e, tra questi, Richard John Roberts che per Ahmad ha raccolto più di 150 firme di altrettanti Nobel per chiederne la liberazione.
Il 10 dicembre, quando si è conclusa l’iniziativa di solidarietà, era la Giornata Mondiale dei Diritti Umani e Mahmood Amiry-Moghaddam, neuroscienziato norvegese-iraniano all’Università di Oslo, attivista per i diritti umani in Iran, ha dichiarato: ‘Oggi siamo qui per Ahmadreza Djalali, domani potrebbe essere qualcun altro. Stiamo alzando la nostra voce per dire che le università sono custodi dei nostri valori fondamentali e che non restiamo in silenzio quando un altro essere umano è stato privato della sua libertà e del suo diritto alla vita’.

La moglie di Ahmadreza Djalali ha raccontato come nel momento in cui al marito è stato detto che la sua esecuzione non sarebbe stata eseguita, egli abbia immediatamente abbracciato le persone che gli hanno dato la notizia: era convinto che sarebbe morto quel giorno.

 

Il ricercatore iraniano, specialista in medicina di emergenza e dei disastri, potrebbe essere giustiziato mercoledì 16 dicembre di prima mattina. Secondo Luca Ragazzoni “la sua funzione di prigioniero è cambiata nel corso del tempo” ma si astiene da qualsiasi tipo di valutazione di tipo diplomatico o geopolitico. “Noi stiamo lottando per la liberazione di Ahmad, per i diritti umani e per la libertà della ricerca scientifica. Sono assolutamente certo che né nel nostro istituto né negli studi di Ahmadreza vi siano dati sensibili non pubblicati che possano essere in qualche modo considerati compromettenti per il regime iraniano”.

Il 25 novembre è stata rilasciata Kylie Moore-Gilbert, accademica di nazionalità anglo-australiana, detenuta nelle carceri iraniane dal 2018, in cambio del rilascio di tre detenuti iraniani. In molti si chiedono se questo fatto possa voler dire che esiste una possibilità che anche altri prigionieri posssano venire rilasciati. Nella da poco conclusa edizione di MED – Mediterranean Dialogues, organizzato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha affermato come tale possibilità esista: “Per noi è categorico” ha dichiarato “ci sono diverse proposte dell’Iran sul tavolo delle trattative. Il ministro degli Esteri iraniano non può avere voce nelle corti di giustizia iraniane, ma può averlo quando ci sono le condizioni per uno scambio”.

Una dichiarazione che suggerisce una parziale apertura ma che si scontra con altre notizie di segno opposto: l’esecuzione, il 12 dicembre, del giornalista e dissidente iraniano Ruhollah Zam, fondatore del canale Telegram AmadNews; l’ordine di ritorno in carcere per Nasrin Sotoudeh, avvocatessa per i diritti umani affetta da gravi problemi di salute e positiva a Covid-19, rilasciata solo temporaneamente a ottobre per sottoporsi alle cure.

“Ormai sono tante le organizzazioni internazionali, le istituzioni scientifiche, i comitati che chiedono di fermare l’esecuzione di Ahmadreza. Raramente la voce si era alzata così alta da tutto il mondo. Ora vorremmo che l’appello fosse ascoltato, che il Governo iraniano rinunci ad un atto così inumano” ha dichiarato lo scorso 2 dicembre il Rettore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste, Stefano Ruffo. Questo appello si unisce a quelli di molte Università italiane e alla lettera della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.

“Questo ha un grande impatto sul caso Ahmadreza nel mondo accademico” scriveva Vida a Luca Ragazzoni dopo la maratona di solidarietà, “e so quanto sarebbe felice Ahmadreza se sapesse di questa iniziativa”.

Per aderire alle petizioni:

Amnesty International

Scholars at Risk

#SaveAhmadreza

 

Aggiornamento del 16 dicembre:
L’esecuzione di Ahmad Djalali, prevista per oggi, 16 dicembre, non è avvenuta. La Federazione Italiana Diritti Umani (FIDU), che assieme ad Amnesty International e Schoolars at Risk, dall’inizio sostiene la campagna per la liberazione di Ahmadreza Djalali, ha diffuso la notizia che “nessuna data [è] ancora fissata per l’esecuzione di Ahmadreza Djalali. Da quando questa è stata posticipata, la famiglia sa solo che il rischio che venga portata a termine la sua condanna a morte resta altissimo”. La FIDU chiede che le istituzioni comunitarie e i governi degli Stati membri esercitino il massimo di pressioni sul governo di Teheran, “senza concessioni alla politica di ricatti, per la salvezza e la liberazione di Ahmad Djalali, condizionando al rispetto dei pilastri fondamentali dei diritti umani ogni accordo con l’Iran”.

Le ultime notizie di grande e costante preoccupazione per la vita del ricercatore iraniano arrivano lo stesso giorno della 75° Assemblea Generale dell’Onu, che ha votato la risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte con 123 voti a favore (superiori ai 121 sì del 2018), 38 contrari e 24 astenuti. L’Assemblea ha anche adottato il Progetto di Risoluzione II, “Situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell’Iran” (82 voti a favore, 30 contrari e 64 astensioni) e ha espresso grave preoccupazione per l’allarmante alta frequenza dell’uso della pena di morte in Iran, in particolare contro i minori, in violazione dei suoi obblighi internazionali. Ha invitato l’Iran a garantire che nessuno sia sottoposto a tortura o ad altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, e a cessare l’uso sistematico di arresti e detenzioni arbitrari, compresa la pratica della sparizione forzata. L’Assemblea ha inoltre invitato l’Iran ad affrontare le cattive condizioni delle carceri; liberare le donne difensori dei diritti umani incarcerate per aver esercitato i loro diritti; porre fine alle violazioni dei diritti contro le persone appartenenti a minoranze etniche, linguistiche o di altro tipo, e garantire elezioni presidenziali libere nel 2021.
L’appello per la liberazione di Ahmad Djalali è sempre più importante e cogente, Amnesty International Genova chiede, in queste ore, ad ognuno di noi di girare un video per chiedere il rilascio di Ahmad e di firmare e diffondere l’appello di Amnesty International.

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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Amnesty International

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.