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CERIC: collaborare nella ricerca per competere ai massimi livelli

Coniugare le proprie competenze gestionali e migliorare le sinergie, questo lo scopo del protocollo di collaborazione siglato a Trieste tra CERIC e SHARE, due consorzi di ricerca europei dalle caratteristiche molto innovative

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CERIC-ERIC è un consorzio internazionale di ricerca che si occupa di studi nel campo dei materiali e delle nanotecnologie. Crediti immagine: CERIC-ERIC, Roberto Barnabà

APPROFONDIMENTO – Gli sforzi per migliorare la collaborazione a livello scientifico sia tra i diversi enti di ricerca sia tra le nazioni si sono moltiplicati negli ultimi anni. Se in passato a fare da apripista in questo campo sono stati i cosiddetti progetti di Big science come il CERN di Ginevra, oggi si sta cercando di implementare la collaborazione scientifica a un livello più strutturale. In Europa in particolare, con la fondazione dell’UE e la crescente integrazione tra gli stati, si è posta in modo naturale la questione di come migliorare e integrare la ricerca a livello continentale. Per far fronte alla questione, l’UE nel 2009 si è dotata di una normativa che ha dato origine all’istituzione degli ERIC (European Research Infrastructure Consortium), fornendo così una base legale per la condivisione di infrastrutture scientifiche, ricercatori, esperienze e capacità specifiche al fine di fare ricerca ad alto livello. Quest’iniziativa ha così permesso negli ultimi anni ai Paesi dell’Unione di dare origine a dei consorzi internazionali di ricerca che godono di un’apposita regolamentazione, come per esempio l’esenzione IVA.

Uno di questi enti ha sede in Italia, a Trieste, e si chiama CERIC-ERIC (Central European Research Infrastructure Consortium). Al consorzio, che si occupa di ricerche nel campo dei materiali, dei biomateriali e delle nanotecnologie, partecipano sette Paesi (Austria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Ungheria), oltre all’Italia, ognuno con una propria infrastruttura di ricerca. L’Italia partecipa mettendo a disposizione una parte delle linee di luce di Elettra Sincrotrone Trieste.

Il 25 ottobre 2016 presso la sede di CERIC si è tenuto un tavolo di discussione dove, alla presenza della presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, è stato firmato un protocollo di intesa tra CERIC-ERIC e SHARE-ERIC, un consorzio che ha sede a Monaco di Baviera e che si occupa di ricerche nell’ambito dell’invecchiamento della popolazione in Europa. Questa firma fa seguito a un accordo bilaterale siglato tra la regione FVG e lo stato di Baviera la scorsa primavera per rafforzare la cooperazione tra i due territori in ambito economico, scientifico e sociale. A porre la firma sul protocollo di intesa sono stati Jana Kolar, direttrice esecutiva di CERIC, e Guglielmo Weber, vice-direttore di SHARE. Con questa operazione, hanno spiegato i firmatari, i due consorzi europei mirano a coniugare le proprie competenze nella gestione degli ERIC e delle infrastrutture di ricerca in genere.

Abbiamo approfittato dell’evento per farci spiegare dalla direttrice Jana Kolar cos’è CERIC, come funzioni e perché oggi si avverte sempre più forte la necessità di una maggiore collaborazione a livello scientifico.

CERIC-ERIC è una realtà molto giovane e ancora poco conosciuta. Ci spiega che cos’è, come nasce e di che cosa si occupa?

CERIC-ERIC è un’infrastruttura distribuita che si occupa principalmente di ricerca nell’ambito delle scienze dei materiali, dei biomateriali e delle nanotecnologie. Infrastruttura distribuita significa che integriamo strutture di ricerca con strumentazioni e tecniche complementari in otto Paesi. Tra questi, anche la Croazia contribuisce ai risultati delle ricerche, pur non essendo ancora membro del consorzio. Alla base della collaborazione c’è un protocollo d’intesa di cui si è cominciato a discutere tra gli stati interessati già nel 2010, e che ha visto la luce nel 2011. Questo è stato il documento alla base del quale la Commissione Europea ha attuato le procedure funzionali a istituire CERIC, in accordo alle normative che regolano questo tipo di infrastrutture.

I motivi che hanno spinto i diversi Paesi a fare questa proposta sono diversi. In primo luogo, le infrastrutture di ricerca sono estremamente costose se si vuole sfruttarle al meglio, anche perché necessitano di continui aggiornamenti. Si deve inoltre considerare l’investimento nella qualità del capitale umano con la formazione dei ricercatori. Le collaborazioni internazionali offrono l’opportunità di superare queste difficoltà in Europa. Ogni Paese in CERIC, attraverso una designata infrastruttura di ricerca, fornisce strumenti e tecniche complementari a quelli degli altri partner e può così portare avanti la ricerca secondo i migliori standard internazionali. Impostando il lavoro in questo modo, ogni paese è in grado di dare un valido contributo, offrendo l’utilizzo delle proprie risorse tecnico-scientifiche, nell’ambito di CERIC, in modalità open access, ovvero garantendo l’accesso libero e aperto ai migliori ricercatori, selezionati con un processo di peer review basato principalmente sulla qualità dei progetti proposti. Questa modalità di lavoro prevede che, in cambio delle possibilità offerte, i ricercatori rendano pubblici i risultati delle ricerche svolte.

C’è stato un promotore principale di questo progetto?

L’Italia ha avuto un ruolo di primo piano. In particolare è stato l’ex presidente di Elettra–Sincrotrone Trieste (e attuale presidente dell’Assemblea Generale di CERIC), Carlo Rizzuto, a promuovere l’idea durante gli incontri del Saltzburg Group. Si tratta di una riunione annuale tra gli stati del centro Europa, organizzata al tempo dal governo austriaco. Negli incontri, ai quali partecipavano diversi ministri dei vari Paesi, si discuteva di come portare avanti e migliorare la ricerca in Europa Centrale. Uno dei risultati di quegli incontri è stato questo ERIC.

Come mai è stata scelta Trieste come sede e quali sono i legami con Elettra-Sincrotrone?

I fatti di cui stiamo parlando risalgono a prima del mio arrivo un anno fa. La forza guida del progetto è stata appunto Carlo Rizzuto e questo è stato uno dei fattori che ha portato a scegliere Trieste come sede. Nella discussione che ha portato alla nascita di CERIC, Elettra c’è stata fin dall’inizio e oggi è il partner italiano del consorzio.

La chiave di CERIC è la cooperazione scientifica, un concetto che si sente sempre più spesso. Qual è la sua forza e perché si sta rendendo così necessaria?

Ci sono pochi dubbi sul fatto che abbiamo bisogno di più cooperazione in Europa per riuscire a raggiungere capacità maggiori. Io per esempio vengo dalla Slovenia, un Paese di appena due milioni di persone. È ovvio che se non collaborassimo oltre frontiera non avremmo la possibilità di avere infrastrutture e risorse umane a un livello di qualità sufficiente in tutti i campi della ricerca. Quindi da questo punto di vista è fondamentale cooperare, tanto più che oggi buona parte della ricerca si poggia su basi interdisciplinari (questa è proprio una delle prerogative di CERIC-ERIC). L’importanza della cooperazione risalta ancora di più quando si è chiamati ad affrontare le sfide della società, cosa che richiede studi interdisciplinari. Non si sfugge: se si vuole fare scienza ad alto livello c’è bisogno di maggior collaborazione internazionale.

Durante la conferenza il presidente di Elettra Alfonso Franciosi ha fatto cenno ad alcuni problemi dal punto di vista burocratico e gestionale dovuti alla novità dell’iniziativa. Ci spiega le difficoltà e le sfide poste da un’iniziativa di questo tipo e cosa si può fare per migliorare?

Di sicuro c’è bisogno di lavorare meglio. Come diceva il professor Franciosi, c’è ancora un po’ di confusione su come gestire la questione dei contributi in natura (in-kind), su cui si basa il funzionamento di molti ERIC. Nel caso di CERIC, l’Italia provvede ai fondi per la gestione e il rafforzamento della sede centrale di CERIC, mentre le strutture negli altri Paesi ricevono fondi dai rispettivi governi. Inoltre tutti gli enti partner, quello italiano incluso, contribuiscono in natura fornendo le risorse umane e strumentali necessarie alla ricerca e all’open access. Come detto, sono numerose le ragioni per cooperare in questo modo. Resta però il problema di come bilanciare i contributi in-kind dei vari partner e questo è più che altro un problema tecnico. Un altro problema per gli ERIC è di natura burocratica ed è legato all’esenzione IVA e al come implementarla. Ora, dopo un certo tempo, in Italia siamo riusciti a ottenerla, ma abbiamo bisogno di riuscire ad applicarla anche a tutti i partner, e questo richiede tempo. Infine ci sono difficoltà legate al fatto che siamo un’infrastruttura distribuita e questo significa impiegare lavoratori in vari Paesi. Queste sono difficoltà amministrative legate al fatto che CERIC è una struttura nuova dal punto di vista legale e va messa a punto. Per questo motivo abbiamo bisogno di una maggiore collaborazione con gli altri ERIC, che stanno affrontando i nostri stessi problemi.

Dopo due anni di attività si può fare un primo bilancio. Quali sono i risultati e i maggiori successi raggiunti?

Il nostro compito è fare ricerca d’eccellenza. CERIC è diventato operativo nella metà del 2014, quindi ora abbiamo due anni alle spalle. In questo lasso di tempo abbiamo pubblicato 18 articoli: 3 nel 2015 e 15, fino ad ora, nel 2016. Questi numeri sono dettati anche dal fatto che, una volta finita una ricerca, ci vuole un certo tempo prima che venga pubblicata. In ogni caso alcuni articoli scientifici davvero buoni sono già stati pubblicati su riviste di alto livello, come Nature. Per esempio un articolo pubblicato su Nature Communications descrive un processo di estrema importanza per ottimizzare le celle a combustibile. Lo studio tratta in particolare dei catalizzatori al platino-cerio, che consentono la catalisi su singolo atomo, un tipo di processo chimico molto efficiente.

Oggi molti sforzi sono concentrati sui concetti di sostenibilità e rinnovabilità a livello energetico e questo richiede di sfruttare al meglio le risorse energetiche. Il miglioramento dell’efficienza di certi processi spesso richiede l’uso di alcuni particolari materiali, anche rari e costosi come il platino. Così diventa molto importante diminuirne il contenuto o trovare dei sostituti. Il metodo sviluppato permette di diminuire considerevolmente il bisogno del metallo prezioso, contribuendo pertanto allo sviluppo di fonti di energia più sostenibili.

Esistono altre realtà analoghe a CERIC-ERIC in Italia?

In Europa ci sono 13 ERIC e potrebbe aggiungersene un altro promosso proprio dall’Italia. Al momento ancora non è un ERIC, ma è stato approvato dalla Commissione Europea ed è attualmente in fase di preparazione. Si chiama E-RIHS, avrà sede a Firenze e si occuperà di ricerca sul patrimonio culturale. Anche E-RIHS avrà un’infrastruttura distribuita simile alla nostra e baserà la sua ricerca sulla scienza dei materiali. Noi siamo loro partner e stiamo già collaborando in fase organizzativa. Entrambe le nostre ricerche sono in gran parte basate sulla scienza dei materiali, entrambi i consorzi hanno sede in Italia ed entrambi hanno un’organizzazione simile, con diversi Paesi e strutture distribuite. Abbiamo molto in comune e possiamo quindi imparare dalle rispettive esperienze.

Questa settimana è stato siglato un accordo con SHARE-ERIC, un consorzio che si occupa di tematiche connesse all’invecchiamento della popolazione. Perché un accordo con una struttura che si occupa di argomenti tanto differenti? Quali risultati si aspetta da questa collaborazione?

Come già detto in precedenza, la ricerca sta diventando sempre più interdisciplinare. In questo caso SHARE si occupa di scienze sociali e CERIC di scienze dei materiali. Ci sono possibilità di trovare aree di convergenza e di fare ricerca assieme, ma la questione importante e urgente per noi è portare avanti lo sviluppo dell’infrastruttura e degli aspetti legali degli ERIC in genere. Sia SHARE che CERIC sono infrastrutture distribuite, con diversi Paesi che contribuiscono alla ricerca e che si trovano ad affrontare situazioni simili. Si tratta perciò soprattutto di una condivisione di esperienze manageriali: gestione delle infrastrutture e del personale, esenzione IVA, contributi in-kind, cose che non hanno molto a che fare con la scienza, ma che sono assolutamente indispensabili se vuoi fare ricerca di eccellenza.

@vinsenzatela

Leggi anche: Le eccellenze della ricerca europea

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale