AMBIENTE

Batteri mangia-petrolio

2110411895_87832eb7e4AMBIENTE – Vivono nei nostri mari da milioni di anni, e in futuro potrebbero essere la chiave per risolvere i disastri ambientali causati dagli sversamenti di petrolio: si tratta di due batteri, Oleispira antarctica e Alcanivorax borkumnensis.

Finora, per arginare i danni causati da disastri ambientali si sono utilizzate principalmente sostanze chimiche, che rompono l’emulsione acqua-petrolio rendendo quest’ultimo più solubile, e permettendo di rimuoverlo dalla superficie. Un provvedimento adottato anche nel 2010 nel caso della Deepwater Horizon, quando per lo sversamento di 700.000 tonnellate di petrolio grezzo furono utilizzati 7 milioni di litri di sostanze chimiche. Tra quelle più conosciute ci sono le Corexit, pesantemente criticate dopo l’incidente dell’Exxon Valdez in Alaska (1989) a causa degli effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente. In seguito, nell’ambito del progetto europeo Bacsin, gli scienziati di diversi paesi hanno perseguito l’obiettivo comune di una strategia alternativa, valida ma allo stesso tempo sicura.

Come riportato sulla rivista Applied and Environmental Biology, un team dell’ Helmholtz Centre for Environmental Research (Ufz) ha dunque approfondito le capacità di due tipologie di batteri, in grado di convertire gli idrocarburi in acidi grassi che in seguito integrano nella propria membrana cellulare. Questi batteri sono molto comuni nei mari di tutto il mondo, anche se presenti in quantità esigue. Quando vengono a contatto con il petrolio  grezzo, tuttavia, la loro popolazione aumenta esponenzialmente, e si verifica una fioritura molto simile a quella che siamo abituati a osservare nelle alghe. Nonostante la loro importanza ecologica, tuttavia, finora si conosceva ben poco di quanto avviene a livello cellulare; i ricercatori hanno dunque analizzato le due specie di riferimento sia dal punto di vista fisiologico che da quello genetico.

Cosa ne è emerso? Il team ha scoperto che non solo a livello della superficie cellulare dei batteri gli idrocarburi alifatici vengono assimilati e integrati nella membrana cellulare, ma che durante il processo si verifica una regolazione genica in risposta allo stress ambientale causato dal petrolio. Mentre l’Alcanivorax ha mostrato la massima efficacia sulle catene idrocarburiche tra i 12 e i 19 atomi di carbonio, l’Oleispira ha dato il meglio a basse temperature, intorno ai 5°C, prospettandosi ottimale per l’utilizzo nei mari più freddi o a grandi profondità (un esempio calzante è proprio il fondale del Golfo del Messico). Seppur la maggior parte degli enzimi chiave per la conversione degli idrocarburi perda in funzionalità a temperature rigide, rimane tuttavia efficiente abbastanza da accelerare la crescita della popolazione. Come commentano i ricercatori su Nature Communications, questo rende il batterio molto competitivo negli ambienti freddi, e in futuro Oleispira potrebbe aiutare moltissimo nelle strategie di mitigazione dei versamenti petroliferi nei mari polari. Fermo restando che la prevenzione sarebbe una politica molto meno dispendiosa, spiega J. Heipieper dell’Ufz, questi batteri potrebbero in futuro essere liofilizzati in modo da poterli facilmente diffondere tramite spray sulle perdite di petrolio.

Crediti immagine: Marine Photobank, Flickr

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".