CRONACA – C’è poco da fare il MuSe stupisce in maniera progressiva, man mano che dalla superfice vitrea ci si avvicina al nucleo. Non è solo la forma, non è solo il concetto, non è solo la vita spiegata fra avventure verticali e dilatazioni temporali, ma è uno spirito dinamico adattabile, fiducioso e transdisciplinare a fare del MuSe qualcosa di completamente nuovo.
Questo emerge dalla conferenza stampa del 16 ottobre, una risposta alla domanda “ma che ci fa una serra tropicale in Trentino?” serpeggiata sottovoce fra le fila dei visitatori, dopo il primo entusiastico impatto. La risposta è ampia e molto chiara. “La serra rappresenta un ambiente ben preciso” spiega Francesco Rovero, conservatore della sezione di biodiversità tropicale del MuSe, “si tratta della foresta dei monti Udzungwa -Tanzania-, sulle pendici dell’Eastern Afromontane, uno dei 34 hotspots di biodiversità a livello globale. In quest’area il museo svolge intensa attività di ricerca da 10 anni partecipando a progetti e collaborazioni internazionali”. Un’attività intensa, tanto da dar vita ad una sezione del museo delle scienze dedicata alla biodiversità tropicale.
Museo e ricerca quindi, mutualmente indispensabili nell’ottica MuSe, ma non è tutto. “Non si può parlare solo di ricerca” sostiene infatti Michele Lanzinger “sappiamo bene che la fragilità delle foreste è strettamente legata al contesto in cui sono inserite” e allora via con l’impegno sociale oltre all’ambientale, che fattivamente significa: Centro di Monitoraggio Ecologico dei monti Udzungwa, in attività dal 2006, ovvero la stazione territoriale del MuSe, polo di cooperazione allo sviluppo dove, rivolte e in collaborazione con la popolazione locale, vengono svolte attività di ricerca, monitoraggio, formazione, ed educazione. Un impegno che, tradotto in cifre, ha significato finora per il MuSe, come racconta Francesco Rovero, “più di 80 pubblicazioni scientifiche in cui sono state descritte oltre 27 nuove specie per la scienza, 130 ricercatori ospiti, uno staff composto da 20 operatori locali, due dipendenti stabili che al MuSe si occupano di biodiversità tropicale, quattro collaboratori e altrettanti dottorandi.”
Ma non è finita qui, ad un’idea efficace ne seguono altre, come dimostrano i progetti di futura attuazione del MuSe, ad esempio l’ambizioso Biodiversity Molecular Lab, progetto per la costruzione di un laboratorio dedicato al sequenziamento in loco e allo studio della biodiversità molecolare, primo nel suo genere in Africa Orientale, che darà ulteriore modo d’impiego e formazione a ricercatori locali e internazionali. “Il laboratorio sarà lo strumento che renderà possibile chiudere in loco il cerchio della conoscenza territoriale” spiega Michele Menegon, ricercatore presso il MuSe che dal 1997 si occupa di biodiversità tropicale nella zona dell’Eastern Afromontane “conoscenza che oggi si esprime anche attraverso l’indagine molecolare e che è la base necessaria ai paesi che stanno cercando una propria via di sviluppo”.
Museo, centro ricerca, ente di cooperazione allo sviluppo, laboratorio, ma non mancano iniziative di ecoturismo, documentarismo scientifico ed esplorazione biologica con i prossimi progetti in partenza “Skyislands”, Udzungwa eco tour e “Getting Reddy”, progetto fra Tanzania e Amazzonia, per la pevenzione della deforestazione e lo sviluppo socio economico delle popolazioni locali.
E per sostenere tutte queste attività? Indispensabili la fiducia di una provincia che da tempo ormai ha inquadrato la ricerca come strumento necessario allo sviluppo e fondazioni private che ogni anno investono in progetti ed enti scientifici ma altrettanto indispensabili l’apertura mentale e lo spirito di adattamento e aggiornamento dell’istituzione. Inoltre in 10 anni, grazie a fondi e collaborazioni internazionali, la sezione di biodiversità tropicale si autofinanzia per più del 50%. Ma, come ulteriore innovazione in termini di ricerca fondi, per alcuni progetti i ricercatori si sono rivolti alla partecipazione pubblica. Attraverso l’azione di crowd funding (finanziamento della folla) per la prima volta il progetto viene presentato al pubblico che, in caso di gradimento, può partecipare con un contributo volontario diventando così co-fondatore del progetto.
La serra del MuSe non è quindi solo il racconto esotico delle meraviglie di una natura altra, ma sembra essere il simbolo e la concretizzazione di un nuovo modo di fare e intendere scienza e musealità. Questo è il nuovo profilo del museo delle scienze: impegnato nel sociale, per la tutela dell’ambiente, promotore di attività di cooperazione e sviluppo, di divulgazione e formazione locale e all’estero, attivo e presente in rete, in altre parole: un Pan-museo.
Crediti immagine: MuSe, Anna Sustersic