ARTE – “Conservare, non restaurare” asseriva Camillo Boito alla fine dell’800, ne I restauri in architettura. Ma non sempre è possibile, i tempi cambiano e quando diventa troppo tardi per correre ai ripari entrano in gioco i batteri restauratori.
Il biorestauro, sfruttando le proprietà dei batteri, è diventato una disciplina di grande interesse nel campo della conservazione e del recupero dei beni culturali, e nello studio del deterioramento causato da fattori organici e inorganici, in particolare microrganismi e circostanze ambientali. Le nuove frontiere della ricerca in questa direzione hanno dimostrato come l’utilizzo dei batteri possa portare a un livello di qualità e affidabilità anche molto superiore a quello garantito finora dai solventi convenzionali e dai tradizionali metodi di restauro. Si tratta di un’ottima soluzione, dunque, nel caso questi ultimi si rivelino inefficaci o pericolosi non solo per l’integrità dell’opera d’arte ma anche per la salute stessa degli operatori che si occupano del restauro.
L’ultimo traguardo raggiunto grazie a questa disciplina è del Laboratorio di Microbiologia Ambientale e biotecnologie microbiche dell’ENEA, e si può ammirare a Roma presso il sito archeologico del Colle Palatino. Parliamo, per la precisione, dei dipinti murali delle logge di Casina Farnese narranti la leggenda di Ercole e Caco. Come spiegano i restauratori, all’inizio ci furono non poche difficoltà nel rimuovere alcuni depositi con i metodi abituali: proprio da quei limiti è nato un brevetto ENEA, e dopo una preventiva sperimentazione in laboratorio sono entrati in gioco i batteri.
“Questo brevetto e le attività che abbiamo realizzato sono tappe di un percorso scientifico che dimostra come le conoscenze prodotte dalla ricerca, interessando diversi settori di applicazione, possono portare allo sviluppo di tecniche a volte inattese”, commenta Anna Rosa Sprocati, ricercatrice dell’Enea e responsabile dell’attività di biorestauro. “I ceppi batterici impiegati, parte integrante del nostro brevetto, provengono dalle miniere di Italia e Polonia oppure da tombe etrusche. In origine erano stati selezionati per le loro caratteristiche metaboliche, che li rendevano adatti ad altre finalità come l’impiego nel risanamento proprio negli ambienti di miniera”.
I batteri in questione provengono dalla collezione Enea chiamata Enea-Lilith, e fanno parte dei 500 ceppi batterici di laboratorio selezionati ad hoc proprio per le loro caratteristiche di interesse biotecnologico, in questo caso nell’ambito del biorestauro. Si tratta di batteri non patogeni e asporigeni, ovvero batteri che non producono forme latenti di sopravvivenza come le spore. Con che cosa si sono confrontati questi microrganismi restauratori, nella loro battaglia contro il tempo impietoso che attacca le opere d’arte? Film anneriti di gommalacca sulle pitture murali e colle animali invecchiate su materiale cartaceo sono solo l’inizio di una lunga lista.
I risultati conseguiti sui dipinti murali della Casina Farnese di Roma dimostrano che è possibile pulire selettivamente diversi livelli di depositi applicando in successione differenti microrganismi, secondo la specifica capacità metabolica richiesta”, commenta Sprocati. “In questo modo sono stati rinvenuti gli strati pittorici sottostanti e gli interventi di restauro passati. Non solo la procedura non pone condizioni operative restrittive, è anche priva di prodotti tossici e quindi sicura per gli operatori, le opere d’arte e l’ambiente”.
Crediti immagine: Enea / Particolare dell’architrave della porta della loggia inferiore della Casina Farnese; prima della biopulitura (a), dopo la biopulitura (b) e a restauro finito (c).