SPECIALE DICEMBRE – Il tumore alla cervice uterina, detto anche più comunemente cancro al collo dell’utero, è oggi il secondo tumore più frequente tra la popolazione femminile, tanto che in Italia si stima colpisca circa 3500 donne l’anno. Purtroppo, anche se sono ad oggi attivi in Italia programmi regionali di screening per le donne dai 25 ai 64 anni, il noto Pap-test, spesso la donna non è al corrente di come funziona esattamente questo test e soprattutto come e perché si origina e come evolve il cancro alla cervice uterina. Ne abbiamo parlato con il dott. Luciano Mariani, responsabile dell’unità HPV dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma.
L’unico tumore con una causa necessaria
Come sottolinea il dott. Mariani, il cancro alla cervice uterina è l’unica tipologia di tumore con una causa necessaria per la sua formazione e questa causa si chiama papilloma virus umano (hpv), che si trasmette sessualmente. In altre parole, solo se si viene infettati da questo virus è possibile sviluppare una forma tumorale al collo dell’utero. Senza dimenticare alcuni importanti cofattori comprovati, come il fumo di sigaretta e la persistenza nel tempo. “Tuttavia – prosegue Mariani – è bene precisare che l’aver contratto il virus è sì causa necessaria per l’originarsi del tumore, ma non sufficiente: solo in pochi casi infatti le lesioni che vengono prodotte dall’hpv si trasformano poi in cancro.” Per citare qualche dato, basti pensare che circa l’80% delle donne contrae nella propria vita almeno un’infezione da hpv, mentre i casi di tumore sono pochi meno di 3000 ogni anno. La maggior parte delle infezioni da papilloma virus si risolve dunque spontaneamente.
La prima cura è la prevenzione
Il cancro alla cervice è assolutamente asintomatico per la donna, e nel momento in cui dovessero manifestarsi i primi sintomi tangibili, significa che il tumore è già in fase piuttosto avanzata. Per questa ragione già da parecchi anni in Italia sono attivi dei programmi di screening gratuito per le donne dai 25 ai 64 anni, in cui attraverso il noto Pap-test viene prelevata una piccola quantità di cellule del collo dell’utero per indagarne le alterazioni che possono suggerire che la donna in questione è a rischio di sviluppare il cancro. Ma sebbene il pap-test sia oggi la forma di prevenzione più nota alle donne, non è l’unica in Italia. Dal 2007 infatti è presente su grossa parte del territorio nazionale, circa il 60%, un programma di vaccinazione gratuito per ragazze di 12 anni di età. Come sottolinea Mariani, in Italia sono presenti due tipologie di vaccini anti hpv: il primo previene i sierotipi 16 e 18, che sono i prototipi considerati più ad alto rischio per la futura formazione di un tumore, e viene somministrato solo alle femmine, e un’altro che oltre ai sierotipi 16 e 18, previene anche i sierotipi 6 e 11, privi di potenzialità oncogena, ma responsabili della formazione di particolari verruche dette condilomi, e che può essere somministrato anche ai maschi (per approfondire vedi l’articolo di Daniela Cipolloni apparso su Oggiscienza il 29.11.11). Entrambi questi vaccini – prosegue Mariani – possono essere somministrati prima dell’esposizione al virus e aiutano a prevenire le lesioni genitali precancerose, oltre alle lesioni condilomatose in entrambi i sessi.
Pap-test vs Hpv-test
“Il pap-test è stato eccezionale perché ha contribuito in maniera fondamentale ad abbattere la mortalità in questo tipo di cancro. Tuttavia – prosegue Mariani – è come se io continuassi ad andare in giro in Topolino ora che ci sono le automobili che conosciamo. Posso farlo, ma se ci sono strumenti migliori il medico ha il dovere di aggiornarsi in merito”. Il test hpv consiste nel prelievo di una piccola quantità di cellule dal collo dell’utero che vengono successivamente analizzate per verificare la presenza di DNA del Papilloma virus. Le sue modalità di esecuzione sono analoghe dunque a quelle del pap-test, con la differenza che l’hpv-test è un test oggettivo, poiché una volta prelevate le cellule dalle pareti uterine è una macchina a compiere l’analisi, in modo da individuare i frammenti del genoma ad alto rischio, risultando circa il 30% più sensibile rispetto al pap-test che invece lascia l’analisi alla soggettività del medico. “La strategia migliore – prosegue Mariani – è la concatenazione di questi due esami l’uno dopo l’altro, come primo e secondo passo di un programma di prevenzione più accurato. In una prima fase la donna si sottopone all’ hpv-test per capire se è positiva o negativa alla presenza del Papilloma virus; se la donna risulta positiva, si passa poi a una seconda fase in cui entra in gioco il pap-test che ci dice con precisione quali tra le lesioni risultate positive presenta anomalie cellulari. Solo a questo punto la donna si dovrà sottoporre a una colposcopia, un ingrandimento della cervice uterina da 2 a 60 volte, che consente al medico di rilevare alterazioni o neoplasie che potrebbero sfuggire a una visione a occhio nudo.”
Perché sì e perché no
Sebbene il test virale sia stato definito inconfutabile su alcuni studi apparsi lo scorso novembre su The Lancet Oncology, in quanto migliora del 60% rispetto al pap-test la prevenzione per il cancro al collo dell’utero, il passaggio a un sistema combinato di queste due tecniche preventive non è affatto semplice. “La ragione è che le donne sono ancora molto legate al pap-test, inoltre virare verso il test hpv richiede un aggiornamento continuo dei medici che non sempre avviene” spiega Mariani. In ogni caso il vantaggio del test non è solo una migliore individuazione delle lesioni tumorali, ma anche un maggior valore della negatività, che significa più sicurezza nel determinare gli esiti negativi degli screening. “Il test hpv infatti è predittivo a 5 anni, contro i 3 del pap-test – conclude Mariani – differenza che porta con sé un vantaggio anche economico. Il singolo test HPV costa di più del pap-test, ma l’intera strategia è più economica, dal momento che le donne ci si devono sottoporre con minor frequenza.”
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