SALUTE – Piccoli pezzi di puzzle sono aggiunti dalla ricerca per cercare di ricostruire quello che è stato definito, qualche anno fa, l’enigma dell’autismo. Uno studio pubblicato recentemente su American Journal of Human Genetics fornisce delle spiegazioni genetiche alla diversa incidenza dei disturbi dello spettro autistico (ASD) tra maschi e femmine. Studi epidemiologici hanno dimostrato infatti che i maschi sono colpiti più frequentemente da questi disturbi rispetto alle femmine, con un rapporto di circa 4:1. I dati presentati nello studio dimostrano che le femmine hanno una sorta di “soglia protettiva” più elevata rispetto ai maschi. Sarebbe necessario, cioè, un maggior numero di mutazioni genetiche per far si che i disturbi si manifestino nei soggetti femminili, mentre ne basta un numero inferiore per avere lo stesso effetto nei maschi.
I ricercatori hanno sequenziato e analizzato campioni di DNA provenienti da 16.000 pazienti affetti da anomalie nello sviluppo neuro-cognitivo e da 800 famiglie affette da ASD. Sono state analizzate, in particolare, le variazioni del numero di copie di alcuni geni, chiamate copy-number variants (CNVs) e le variazioni di singoli nucleotidi, single-nucleotide variants (SNVs), entrambe molto importanti per la variabilità genetica e coinvolte in patologie complesse. I risultati hanno mostrato che il numero di mutazioni che coinvolgono CNVs e SNVs risulta di gran lunga maggiore nelle femmine che manifestano disturbi dello spettro autistico rispetto ai maschi, suggerendo che il cervello femminile, a differenza di quello maschile, necessita di alterazioni genetiche più numerose per sviluppare le stesse alterazioni.
Le differenze di genere che interessano i disturbi dello spettro autistico sono note da tempo e vengono giustificate sia da fattori biologici che da elementi diagnostici. Antonio Persico, direttore dell’unità ambulatoriale di neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza dell’Università Campus Biomedico di Roma, ci ricorda come i modelli animali hanno dimostrato che anche gli ormoni sessuali femminili giocano un ruolo in questo. Sembra, infatti, che alcuni ormoni sessuali possano svolgere un ruolo protettivo a livello del sistema nervoso e “correggere” alcune anomalie. “Esiste una differenza tra maschi e femmine per quanto riguarda l’incidenza dei disturbi dello spettro autistico”, continua Persico, “che può essere giustificata da fattori biologici. D’altra parte, però, anche la diagnosi può costituire un importante elemento di differenza. È possibile, infatti, che i disturbi dello spettro autistico si manifestino nelle femmine in modo diverso rispetto ai maschi e vengano quindi sotto diagnosticati. Ad esempio, sembra che alcune forme d’ansia tipiche dei soggetti femminili siano da un punto di vista neurobiologico dei disturbi dello spettro autistico”.
Dello stesso parere è anche Stefano Vicari, responsabile di neuropsichiatria infantile dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Ci sono dati epidemiologici solidi che dimostrano che l’autismo colpisce più di frequente i maschi, però è anche vero che una possibile spiegazione, almeno parziale di questo dato, possa essere legata al fatto che nelle femmine sia meno diagnosticato. Ci sono diversi studi scientifici che mettono in relazione il disturbo anoressico riscontrato in soggetti femminili con dei tratti di tipi autistico. Alcuni tratti autistici nelle femmine, quindi, possono assumere le sembianze di un disturbo di tipo diverso e c’è quindi una maggior difficoltà nel riconoscerli”.
I risultati di questo studio aggiungono un ulteriore elemento di complessità alla trama genetica, già estrememamente complessa, che sta alla base dei disturbi dello spettro autistico. “L’autismo è una malattia genetica ma non esiste il gene dell’autismo”, spiega Stefano Vicari. “Solo il 5-10% delle diagnosi di disturbi dello spettro autistico sono associate ad anomalie genetiche obiettivabili, cioè in grado di essere messe in evidenza con un test. La sindrome dell’X fragile rientra tra questi. Nel resto dei casi si va “a pesca” nel DNA cercando delle microdelezioni. Il fatto che i distrurbi di tipo autistico siano di origine genetica, però, deriva non solo da dati di laboratorio ma anche da indizi epidemiologici, come ad esempio lo studio delle famiglie che presentono casi si ASD, la correlazione con l’età paterna, la maggior frequenza di casi nei maschi. Questi sono tutti dettagli che ci confermano l’origine genetica di questi disturbi”.
Qual è quindi il ruolo di fattori esterni? A che punto finisce il ruolo della genetica e quando entrano in giochi fattori ambientali? “Dipende da dove posizioniamo l’asticella” ci spiega Antonio Persico. “I casi di disturbi dello spettro autisico che dipendono esclusivamente da fattori ambientali sono rarissimi. D’altra parte, i casi nei quali esiste una ed una sola causa genetica sono circa il 10% e si tratta di sindromi note. Nei casi restanti, la maggior parte, la genetica gioca un ruolo pesante ma non in un singolo modo. Quando non si trova una causa genetica evidente si tende a dare la colpa a fattori ambientali, ma in realtà non è così. Esistono cause genetiche semplici, subito identificabili, ma anche cause genetiche complesse. I fattori ambientali, tranne in rarissimi casi, hanno un ruolo nello sviluppo di comportamenti autistici solo in persone geneticamente predisposte a svilupparli. L’obiettivo finale- conclude Persico- è andare oltre la genetica ed arrivare a procedure diagnostiche che si baseranno su test ematochimici ed elettrofisiologici.”
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