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Nucleare: possiamo farne a meno?

http://www.flickr.com/photos/54422072@N03/10562142755/in/photolist-h6kK4z-4ohnWz-6zwWoo-5GoL9J-5GoLJA-5Gjtr4-5GoNLA-5Gju7p-5RH9MU-fAxSib-cv821b-cv81LE-cv82bN-cv82jW-cv7ZjW-cv7ZSC-cv7ZZL-cv7Yuq-cv81f3-cv7Zvh-cv7Zb9-cv81AN-cv7YPs-cv7YBS-cv7ZNd-cv81pd-cv7YYN-cv7Yo5-5TvQrJ-6yb1Mr-eafJbL-pv5s7-e3Gosf-eZgYM-aXKh5B-81HWSG-bNRZx2-5JT8gi-gEmFb-bxtTDR-6q74Lh-64q3uB-cXYAA9-eZNzrU-9vX4Vu-5LTgwq-wrbgi-4WiX25-7LpgbE-7Lpg4Y-7Lpg9sSPECIALE MARZO – Di ritorno al nucleare, in Italia, non si parlerà per un bel po’. Eppure, c’è chi pensa – con un occhio anche a quanto accade all’estero – che questa opzione non sia del tutto da dimenticare, almeno in una prospettiva a lungo termine. Dopo le parole di Vincenzo Balzani, antinuclearista, sentiamo quelle di un “possibilista”: Marco Ricotti, professore di impianti nucleare del Politecnico di Milano.

 

 

ricotti-polimiNucleare: per lei è sì?
Per me è soprattutto “dipende”. Secondo me diversificare le fonti energetiche sarebbe una mossa lungimirante: certo oggi l’indipendenza politica completa di un paese è praticamente un miraggio, ma un paese (come l’Italia) che dipenda molto dagli altri per le forniture energetiche rischia di essere più fragile. Anche per quanto riguarda la sicurezza, sicuramente oggi il nucleare “si può fare”. Detto questo, però, la realizzazione di questa opzione energetica dipende da molte altre condizioni: dal sentimento sociale, dalla volontà politica, dalla pianificazione energetica a lungo termine, dalla disponibilità di una filiera industriale attiva, che possa garantire la capacità di costruire centrali. E naturalmente dalle condizioni economiche: se un reattore che sulla carta costa 3-4 miliardi, alla fine della realizzazione arriva a costare più del doppio, c’è ovviamente qualche problema.

Il riferimento è al reattore di Olkiluoto, in Finlandia. Doveva essere terminato nel 2009 e non lo è ancora, mentre i costi continuano a salire. Ma è una situazione inevitabile quando si costruisce un reattore o lassù qualcosa è andato storto?
In parte questa escalation di tempi e di costi dipende dalla complessità della tecnologia: parliamo di un reattore di terza generazione, che garantisce i più alti margini di sicurezza possibili. Non per niente in molti paesi, dagli Stati Uniti alla Cina, si comincia a discutere se sia effettivamente un bene spingere verso reattori sempre più grandi e complessi o se non sarebbe invece meglio puntare su reattori più piccoli e modulari. Ma non è solo questo: il punto è che, dopo decenni di blackout sul nucleare, l’Europa ha disimparato “come si fa”. Un cantiere per un reattore è qualcosa di estremamente complesso e avanzato dal punto di vista tecnologico: occorrono competenze particolari, un’estrema precisione, controlli rigidissimi. Ecco, forse prima di gettare la spugna dichiarando che il nucleare è troppo costoso, dovremmo ricominciare ad allenarci su questi aspetti. Del resto, in Giappone (prima di Fukushima) come pure in Corea del Sud le centrali si sono sempre fatte rispettando tempi e budget e oggi succede in Cina. Ora si tratta di vedere che faranno gli americani e gli inglesi, che hanno alcuni progetti già in cantiere: se ci riusciranno anche loro sarà una buona notizia sulla fattibilità. Pur restando fermo il fatto che bisogna mettere sul tavolo qualche miliardo di euro e che dunque ci vuole una visione strategica di un certo tipo.

Che conseguenze può avere per l’Italia il fatto di aver deciso di rinunciare al nucleare?
Intanto non è proprio vero che abbiamo rinunciato, perché continuiamo ad acquistare da Francia, Svizzera e Slovenia energia elettrica prodotta con nucleare. E lo facciamo perché ci conviene. Pensi che il nostro parco centrali ha una produzione di energia elettrica che rasenta i 100 GigaWatt, quando il picco di domanda è circa la metà, 54-55 GigaWatt. Eppure, continuiamo a importare dall’estero circa 6-7 GigaWatt di energia, prodotta in gran parte da nucleare, perché costa meno di quella prodotta a casa nostra.

C’è altro?
Sì, perché non avere il nucleare (o progetti che vadano in questa direzione) significa perdere la possibilità di sviluppare una filiera industriale di alta tecnologia. Insomma perdiamo capacità di sviluppo e di produzione e con la situazione economica e del lavoro che abbiamo in Italia mi sembra che non ce lo possiamo permettere. Forse in periodi di vacche grasse potevamo anche farlo, ma oggi rinunciare a questa prospettiva di sviluppo è irresponsabile.

Chi si oppone al nucleare elenca una lunga serie di ragioni. Gliene sottopongo qualcuna, a partire dalla questione della sicurezza: nonostante tutto, c’è sempre il rischio di un incidente e se accade sono guai seri…
Le centrali che costruiremmo in Italia sarebbero di ultima generazione, con un livello massimo di sicurezza che include anche scenari come quelli accaduti a Fukushima. E poi bisogna sempre ragionare in termini comparativi, confrontando eventuali rischi con quelli connessi all’uso di altre fonti di energia o ad altre attività umane.

Altro tema: il nucleare è una forma di energia troppo complessa e dunque accentrata nelle mani di pochi, e per questo non democratica. Inoltre, l’uso civile potrebbe essere collegato a uno sviluppo in senso militare.
Mi sembra che parlare di democrazia a proposito di nucleare sia un’applicazione inopportuna di un concetto sociale a un tema tecnologico. È verissimo che non tutti i paesi hanno competenze, sviluppo industriale e capacità politica tali da sviluppare una tecnologia del genere e che magari per farlo devono appoggiarsi ad altri, ma cosa c’entra questo con la democrazia? Del resto, si sono viste guerre per il petrolio o per il gas, ma di guerre per il nucleare non ne ho ancora vista una. Senza contare che l’uranio è distribuito in paesi meno critici, più “tranquilli” rispetto a quelli in cui si trovano le fonti fossili e le possibilità sul mercato sono più ampie. Quanto al rapporto tra nucleare civile e militare non è così stretto. Tutte le nazioni sono abilitate a sviluppare il primo, mentre per questioni di sicurezza internazionale non tutte possono sviluppare il secondo. Punto.

Poi c’è il problema di dove mettere le scorie…
Guardi, se c’è qualcosa che sappiamo bene dove mettere e come controllare sono proprio le scorie nucleari, mentre di sicuro non possiamo dire lo stesso per altri tipi di rifiuti come quelli tossico-nocivi (e quanto è accaduto nella Terra dei fuochi insegna). Per le scorie a bassa e media radioattività, come quelle prodotte negli ospedali o da attività industriali, si usano in genere depositi controllati definitivi mentre per le scorie ad alta radioattività ci sono paesi, come la Finlandia, in cui si cominciano ad avviare i primi siti per lo stoccaggio permanente: sono depositi geologici profondi, in zone geologicamente molto stabili. Altri pensano che si potrebbero invece conservare in depositi temporanei e poi bruciarle quando, tra qualche decennio, saranno disponibili reattori di quarta generazione, ma è un problema strategico, non tecnologico. La tecnologia c’è e ci permette di affrontare il problema. Va detto però che in Italia non abbiamo ancora neppure un deposito permanente per le scorie a minor rischio.

Per chiudere: abbiamo parlato dell’importanza di una filiera industriale sul nucleare. C’è qualcosa che l’Italia può fare per rimanere al passo, per potenziare ciò che le resta di quella filiera, pur non avendo la prospettiva concreta di realizzare una centrale nucleare sul proprio territorio?
Certo: la prima cosa da fare è non ostracizzare chi continua a operare nel settore, si tratti di aziende o di istituti di ricerca. Dopo Chernobyl questo ostracismo è stato fortissimo, ci si è ridotti quasi a “carbonari” pur di continuare a lavorare, spero che non accada qualcosa del genere dopo Fukushima. Perché competenze italiane molto buone in questo campo ci sono ancora: io per esempio sto portando alcuni studenti del politecnico a visitare due reattori di tecnologia russa che Enel sta completando in Slovacchia. Però bisogna che siano messe in grado di lavorare: basta per esempio che vengano lasciate competere in piena trasparenza. Se vengono messi fondi a disposizione su progetti di sviluppo tecnologico e scientifico, che ci sia consentito concorrere per ottenerli senza discriminazioni.

Immagine di apertura: Rodrigomezs/Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance