CULTURA

Cosa vi siete persi a maggio

2871970895_1df4809aeb_bCULTURA – Perché la gente continua a credere a cose false?
Dopo il pasticcio di Stamina, pare che Le iene abbiano deciso di cavalcare l’onda della facile indignazione generale di chi crede alle notizie diffuse dalla trasmissione e di chi cerca in ogni modo di smontarle. Questa volta è la nota presunta relazione tra vaccini e autismo a essere nuovamente chiamata alla ribalta dal programma di Italia1, una mossa che qualcuno aveva previsto e che ha subito innescato la reazione di alcuni giornalisti e scienziati (così si esprimono per esempio Elena Cattaneo, Gilberto Corbellini e Michele De Luca in un editoriale della Stampa).
Negli stessi giorni molti giornalisti che si occupano di scienza hanno dovuto rispondere a un’altra campagna nata attorno al disturbo autistico: la PETA, l’associazione in difesa degli animali, ha (ri)lanciato una campagna che suggerisce un legame tra il consumo di latticini e l’autismo. Oltre a basarsi su dati quanto meno traballanti, questo tipo di informazione finisce con il demonizzare le persone affette dal disturbo, sottolinea la giornalista Emily Willingham, che da anni si occupa del problema.
Non si tratta certo di discussioni nuove, e ogni volta ci si chiede come sia possibile che continuino a circolare credenze più volte smentite, con alle spalle poche certezze o esplicite frodi. Perché, in poche parole, la gente continua a credere a cose false?
In un bel post sul suo blog del New Yorker Maria Konnikova fa una panoramica della questione, un pezzo che potrebbe essere utile anche ai più convinti scientisti.

Se non è il complottismo di stampo scientifico ad appassionarvi, potete comunque buttarvi in un po’ di dietrologia sul sessismo nel mondo del lavoro leggendo qualche articolo sulle dimissioni del direttore del New York Times Jill Abramson: è stata rimossa dal suo incarico perché chiedeva di guadagnare quanto i suoi colleghi uomini? Perché era dura e ostinata con la redazione? Si sarebbe detto lo stesso, qualcuno si chiede, se si fosse trattato di un uomo?

Possiamo accettare che i robot uccidano di propria iniziativa in un’azione militare? E ha senso parlare di iniziativa individuale parlando di una macchina? Se ne è discusso in un incontro organizzato dalle Nazioni Uniti a Ginevra, un meeting preliminare che qualcuno vorrebbe veder evolvere in un divieto di utilizzare in guerra macchine letali autonome.

L’idea di robot killer vi sembra troppo furutistica? Aspettate di leggere questo pezzo sulla possibilità di ibernare il corpo umano, ponendolo in una condizione di animazione sospesa in attesa di cure. Ne parla Frank Swain su Mosaic.

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