AMBIENTE

Tecnologia italiana per misurare il “respiro” dei vulcani

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AMBIENTE – Sarà che tutti noi siamo cresciuti studiando quello che è successo a Pompei e ai suoi abitanti, ma nel nostro paese parlare di vulcani e di sicurezza è argomento sempre attuale, e la ricerca italiana pare ancora una volta dettare il ritmo delle nuove tecnologie in materia di monitoraggio dei vulcani. È questo il caso di un gruppo di ricerca dell’ INGV che ha messo a punto negli ultimi anni, una metodologia innovativa per monitorare il “respiro” dei vulcani, la loro attività esplosiva. Si tratta di un sistema sincronizzato di telecamere a infrarosso ad alta velocità, collegate a speciali microfoni che permettono di ricostruire ciò che l’uomo non vede, rallentare i processi di esplosione in modo da permetterne un’analisi precisa e dettagliata, fino a descrivere le traiettorie dei lapilli e costruendo vere e proprie immagini tridimensionali degli eventi vulcanici. Un modello questo, che i ricercatori italiani stano condividendo con i colleghi di tutto il mondo.

“Siamo partiti da casa nostra, lo Stromboli, che ha una frequenza di avvenimenti esplosivi molto alta– spiega Piergiorgio Scarlato, primo ricercatore del team dell’INGV – ma l’interesse verso questo tipo di progetto è mondiale, perché quello che abbiamo elaborato in questi ultimi anni è un metodologia utilizzabile in varie situazioni, basti pensare ai vulcani attivi delle Hawaii, in Kamchatka, nelle isole Vanuatu nel Pacifico, o al Giappone.”

Come spiega Scarlato infatti, quella che noi chiamiamo “pericolosità” di un vulcano, dal punto di vista strettamente scientifico è una probabilità: per dirla in parole povere è la probabilità che in un dato periodo si verifichi un certo evento o un altro. Per questa ragione il modo forse più valido per ridurre il rischio legato all’attività eruttiva di un vulcano è capirne l’andamento il comportamento durante tutte le sue fasi. Conoscere il “funzionamento” di un sistema vulcanico è inoltre di conseguenza fondamentale dal punto di vista della protezione civile” prosegue Scarlato.

Non tutti i vulcani però vengono monitorati allo stesso modo, specie nei paesi in via di sviluppo, dove le eruzioni vulcaniche si trasformano spesso in vere e proprie emergenze, come è avvenuto lo scorso 30 dicembre a El Salvador, in Centro America, con l’eruzione del vulcano Chaparrastique. Proprio nel caso di El Salvador per esempio L’INGV ha collaborato con il governo locale per istallare delle speciali telecamere e altri strumenti di ultima generazione per monitorare momento per momento l’evolvere dell’eruzione.

Raccogliere dati da monitoraggi in tutto il mondo è importantissimo – spiega Scarlato – perché ci permette di costruire dei modelli che vanno oltre il singolo evento, ma che sono applicabili a tutte le attività esplosive. La stessa tecnica che viene usata per misurare per esempio la velocità delle scorie eruttate può facilmente essere adattata in situazioni dove l’attività esplosiva è più energetica.

Un altro esempio assai più celebre perché più vicino a noi è il vulcano Eyjafjallajokull, in Islanda, la cui eruzione nella primavera del 2010 ha portato con sé un enorme trambusto in tutta Europa. “L’esperienza di monitoraggio di un’eruzione come questa attraverso i nostri metodi innovativi ci ha permesso di studiare con maggior precisione la dispersione delle ceneri vulcaniche e come esse si depositano, meccanismi che valgono per tutti i tipi di vulcano, non solo per quello islandese”.

La sedimentazione delle ceneri dopo un’esplosione porta con sé infatti conseguenze importanti, anche gravi, per la popolazione e per l’ambiente. Prima di tutto perché il depositarsi massiccio di cenere sui tetti può provocare le stesse conseguenze sulla tenuta degli edifici che hanno le abbondanti nevicate invernali, minando la stessa sicurezza degli stessi. In secondo luogo, sebbene a piccole dosi la cenere sia un ottimo fertilizzante, in grandi quantità si rivela nociva per l’ambiente e per le colture, oltre che per le falde acquifere. Infine, il problema dei trasporti. L’eruzione del vulcano islandese nel 2010 ha determinato per giorni lo stop del traffico aereo in Europa. In Italia ciò accade spesso, come con la chiusura degli aeroporti di Catania e Reggio Calabria a causa delle ceneri emesse dall’Etna. In entrambi i casi è evidente come il funzionamento del sistema del trasporto aereo sia vulnerabile e condizionato dalla presenza di cenere vulcanica in atmosfera. Dunque un modello di dispersione che consideri nel modo migliore le dinamiche con cui la stessa cenere si concentra nelle nubi vulcaniche è fondamentale per gestire al meglio il traffico aereo riducendo, di conseguenza i rischi e i costi derivanti dallo stop forzato.

Crediti immagine: Jeanot, Wikimedia Commons

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.