SALUTE – Nel suo ultimo libro (1), Temple Grandin si augura che un giorno ogni sintomo dell’autismo venga spiegato “stringa di Dna per stringa di Dna”. Nuove ricerche provano già a farlo “base di Dna per base di Dna”.
Non si conoscono le cause dell’autismo, uno spettro di sindromi mal definito perché comprende disturbi eterogenei, sia del comportamento che della percezione e della comunicazione, la cui incidenza sta aumentando sopratutto negli Stati Uniti. Le correlazioni con effetti epigenetici durante la gravidanza si moltiplicano e spesso sono verificabili nelle ricerche realizzate sui topi. Con tutti i suoi limiti, il modello animale è l’unico al quale si possa ricorrere e Robert Naviaux e negli ultimi anni i suoi colleghi dell’Università della California-San Diego hanno dato un importante contributo per renderlo più realistico.
In un articolo open access su Translational Psychiatry, il gruppo di ricercatori riprende l’ipotesi della “reazione al pericolo” – dovuta solitamente a un virus – che modifica l’attività delle cellule per contrastare una sovrabbondanza di purine. E queste – guarda caso – comprendono due basi del Dna, l’adenosina e la guanina.
In precedenti studi condotti sui topi, i ricercatori avevano infettato femmine gravide con l’RNA di geni virali: la progenie aveva paura delle novità, dei topi “sconosciuti”, soffriva di scarso coordinamento motorio. I nuovi nati mostravano insomma comportamenti riconducibili allo spettro autistico. In questa ricerca, gli scienziati hanno sperimentato un vecchio farmaco (era stato brevettato nel 1923!) usato per la malattia del sonno, la suramina, che blocca i recettori delle purine sulla membrana della cellula. In teoria questa sostanza avrebbe dovuto inibire la “reazione al pericolo” delle cellule. Il farmaco è stato iniettato ai nati da madri infette una volta diventati adulti (dai 4 mesi in poi). I ricercatori hanno poi sottoposto gli animali a una serie di test comportamentali, usando come gruppo di controllo i topi nati da madre iniettata con una soluzione salina innocua. Una volta che gli adulti avevano metabolizzato la suramina, gli scienziati hanno confrontato nuovamente i comportamenti dei due gruppi, dopo aver iniettato di nuovo il farmaco ai nati da madri infetta mentre il gruppo di controllo riceveva la soluzione salina.
Dalle analisi del sangue, dei metaboliti e di altri marcatori, la suramina sembra proprio efficace: nei topi nati con comportamenti autistici, tornavano “neurotipiche” le cascate biochimiche solitamente osservate nell’autismo. Una scoperta da prendere con le pinze: la suramina non può essere una cura perché, tra altri effetti collaterali gravi, ha quello di danneggiare parte della corteccia cerebrale. Però la sua struttura è nota: ora è possibile sintetizzare o cercare nelle “biblioteche dei composti chimici” molecole simili e meno tossiche che potrebbero tappare i recettori di quelle purine.
In attesa di conferma o smentita, come sempre in questi casi. Nel frattempo resta la domanda: nelle donne incinte, da dove proviene il “segnale di pericolo”?
(1) Il cervello autistico, una rassegna insieme critica e ottimista delle ricerche e delle “buone pratiche” riguardanti l’autismo, dell’autrice di La macchina degli abbracci e di saggi sui suoi rapporti con gli animali, docente di zoologia all’Università del Colorado che descrive la propria esperienza dei rapporti sociali come quella di “un”antropologa su Marte” nel libro omonimo di Oliver Sacks.
Crediti immagine: Mark Fowler, Flickr