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Legge 40? È tempo di rilanciare. Intervista al bioeticista Maurizio Mori

https://www.flickr.com/photos/keoni101/6897253332/in/photolist-bupUc4-btryeD-a6H3hs-5iFuAd-mtKMCQ-9SW2uq-5LztEk-df85XL-2H6pc3-6zJQnR-dkEZVZ-9LMa7Q-bvue7U-p1EttB-piaNyn-p1FCi6-piaN5r-p1ELFo-p1Fzqy-p1FvQC-pi8Mfb-pg8JpN-p1Fx4E-p1EMdA-2xdo6Y-5vVJhS-84GEx8-bwTDJF-x7mxA-x7mu9-x7mz2-x7mvk-x7mym-x7mtP-x7mta-x7my8-x7mxi-btryUk-5KAYnW-5GdqH3-8LCnKg-5kehKd-ab28Rg-ab4Ys1-huX7zT-5V1eas-3R5T8X-8V6mLF-4acCJs-fiGuE/ATTUALITÀ – Con la sentenza della Consulta che, nell’aprile 2014, ha dichiarato incostituzionale il divieto alla fecondazione eterologa, la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA) può dirsi quasi completamente smantellata. Almeno dal punto di vista normativo, ora è possibile la produzione di più di tre embrioni, la loro crioconservazione, la diagnosi preimpianto anche per coppie fertili e, appunto, la fecondazione eterologa. Eppure per Maurizio Mori, ordinario di filosofia morale all’Università di Torino e presidente dell’associazione Consulta di bioetica Onlus, questo non basta. «Fermarsi a questo punto, accontentandosi delle varie sentenze che hanno smontato la legge, significherebbe accontentarsi del meno peggio» ha dichiarato a Milano nel corso di un seminario dedicato alla legge 40 e ai diritti delle donne. «Invece potrebbe essere il momento buono per rilanciare con nuove prospettive, riaprendo una questione che è prima di tutto sociale e culturale». Per Mori, quello che ancora non funziona e che non ha mai funzionato nella legge 40, è il fatto che limita il ricorso alle tecniche di PMA alle sole coppie sterili o infertili. Lo abbiamo raggiunto per saperne di più.

Professore, che cosa non le piace di questa impostazione?
Tanto per cominciare, non sempre la diagnosi di sterilità o infertilità deriva da un giudizio medico: spesso è la coppia stessa ad autocertificare questa condizione. Quindi abbiamo una legge che, di fatto, apre la porta alla possibilità di dichiarare il falso per aggirare i limiti posti dalla legge stesse, il che mi sembra distruttivo dello spirito civico. Poi naturalmente c’è un tema di diritti: perché l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita deve essere vietato a una donna single? Una donna senza partner che voglia un figlio potrebbe arrivarci passando attraverso un rapporto sessuale occasionale: perché non permetterle di accedere a un’altra strategia?

Questo però significherebbe togliere la fecondazione assistita dall’ambito medico…
È esattamente questo il punto: stiamo parlando di terapie per persone malate o di un ausilio per un atto – la nascita di un figlio – che è una scelta personale con conseguenze sociali? Con questi vincoli noi diciamo che la nascita dei figli è una scelta medica, mentre io credo che sia una funzione personale e sociale.

Oltre alle donne single, chi altro dovrebbe poter beneficiare delle tecniche di PMA?
Penso alle donne in post-menopausa. La legge parla di coppie “potenzialmente in età fertile”. Una donna di 55 anni, se vuole un figlio, deve andare all’estero e anche questo mi sembra discriminatorio. Anche considerato che la vita media si sta allungando significativamente e che, per ragioni sociali, oggi le donne arrivano tardi a cercare la maternità. Del resto, un uomo può avere un figlio anche in età avanzata: la tecnica si limite ad aiutare le donne a riguadagnare uguaglianza su questo terreno.

E per quanto riguarda le coppie omosessuali?
Direi che oggi la discriminazione contro gli omosessuali possa tranquillamente essere considerata contraria al principio di uguaglianza.

PMA allargata, dunque. Ma farmaci e interventi costano molto: chi dovrebbe pagare?
Ovviamente il problema dei costi c’è, ma è un tema differente da quello dei diritti. Una volta stabiliti i diritti, bisognerà ripensare in termini complessivi tutta la questione dei costi. Del resto, ci sono scelte sociali che lo stato lascia ai privati e scelte sociali che lo stato supporta.

Per il rilancio di una discussione sulla legge 40 lei invita a tenere presente anche l’ambito scientifico. In che senso?
Non possiamo legiferare tenendo lo sguardo volto al passato, ma dobbiamo farlo tenendo conto di come gli avanzamenti scientifici stanno plasmando il presente e di come plasmeranno il futuro. Solo un esempio: nei topi, oggi, si possono derivare gameti – sia maschili sia femminili – a partire da cellule adulte di un organismo. Forse tra una ventina d’anni si potrà fare anche nell’uomo: significa che da una mia cellula si potranno derivare non solo spermatozoi, ma anche cellule uovo. Non possiamo fingere che queste prospettive non esistano.

Però l’orizzonte scientifico non è una delle prime preoccupazioni della giurisprudenza, come confermano i casi dei giudici che hanno autorizzato il metodo Stamina o avallato l’esistenza di una correlazione causa-effetto tra vaccinazione e insorgenza di autismo.
C’è chiaramente un problema culturale. Invece di ritenere la scienza la più grande elaborazione umana degli ultimi secoli, continuiamo a considerarla un semplice metodo, senza implicazioni filosofiche o capacità di “visione” del futuro. Il nostro atteggiamento è pregiudiziale: ogni volta che arriva una nuova scoperta ci chiediamo quali sono i suoi limiti e poi citiamo l’esempio della bomba atomica. Certo: per alcune applicazioni potrebbero essere necessarie delle regole, ma vanno pensate a posteriori, dopo aver ben compreso lo scenario che si prospetta, non a priori in virtù di un pregiudizio negativo. In questo senso il caso della legge 40 è emblematico, perché denuncia un atteggiamento tipico che è quello di valutare ogni avanzamento scientifico nel campo come contrario all’uomo.

Che cosa si può fare per cambiare questo atteggiamento?
Anzitutto cominciare a vedere la scienza come un’amica dell’uomo, e non come un mostro impazzito da imbrigliare, perché senza scienza la civiltà regredirebbe a livelli inaccettabili. Poi imparare ad applicare il metodo scientifico ai vari ambiti della vita, facendo emergere più chiaramente le potenzialità filosofiche ed etiche insite nella scienza. E infine c’è un compito per la politica, che dovrebbe smettere di limitarsi alla conta dei voti e preoccuparsi invece di promuovere fiducia nella prospettiva scientifica.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Keoni Cabral/Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance