SCOPERTE – Una delle grandi questioni intorno all’origine dell’Universo è riuscire a fare sempre più luce sulle particelle che lo componevano e sui processi fisici che hanno portato alla costituzione della materia per come la conosciamo oggi, fatta di protoni, elettroni e molte altre particelle che gli scienziati hanno via via definito nel corso degli ultimi decenni. In altre parole: come si è passati da un Universo primordiale dove convivevano materia e antimateria a uno – il nostro – dove l’antimateria costituisce solo una minuscola parte dell’Universo conosciuto? Proprio per rispondere a queste domande è nato il grande cacciatore di antimateria AMS, Alpha Magnetic Spectrometer, al quale l’Italia partecipa con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), con lo scopo di cercare l’antimateria nei raggi cosmici.
E proprio una grande collaborazione internazionale come quella di AMS ha permesso un’importante scoperta, i cui risultati sono stati pubblicati di recente su Physical Review Letter, e cioè l’osservazione di un eccesso di anti-elettroni, i positroni, rispetto alle quantità attese dai fisici a causa delle collisioni ordinarie dei raggi cosmici. In particolare, si è osservato che le percentuali di positroni rispetto agli elettroni crescono con l’aumentare dell’energia, invece di diminuire come ci si sarebbe aspettato. Ma c’è di più. I dati rilevati da AMS hanno permesso di capire anche a quale energia questo eccesso di antimateria comincia a scendere e precisamente a 272 GeV.
“Cercare antimateria significa due cose”, spiega Bruna Bertucci, responsabile italiano per AMS al Cern di Ginevra. “Ci si può focalizzare sulla ricerca di antimateria più ‘pesante’, ricerca che si basa sulla teoria secondo cui l’antimateria non sarebbe scomparsa con il passare del tempo, semplicemente sarebbe molto lontana da noi: trovare anche un solo nucleo di anti-elio o di elementi più pesanti sarebbe la prova dell’esistenza di questi domini lontani di anti-materia in cui si sarebbero potuti avviare processi di nucleosintesi e la formazione di ‘antistelle’. Un secondo filone, quello su cui ci siamo concentrati nello studio presentato questi giorni, riguarda invece l’antimateria più ‘leggera’, cioè la ricerca di antiparticelle come antiprotoni e positroni.”
Queste particelle, previste in quantità minime nella radiazione cosmica, sono assai difficili da individuare, fondamentalmente appunto perché sono pochissime. “Il rapporto – spiega la Bertucci – è circa 1/10 per quanto riguarda positroni ed elettroni e addirittura 1/10000 per quanto riguarda protoni e antiprotoni.”
Il punto è che le tracce di antimateria “leggera” nei raggi cosmici derivano dalle collisioni di protoni e nuclei con le polveri interstellari ed esistono diversi modelli con cui prevederne l’abbondanza. Rilevare dunque quantità di antiparticelle molto maggiori rispetto alle aspettative rappresenta una scoperta eccezionale per gli scienziati. Uno stimolo nella ricerca di nuove sorgenti di antimateria: la candidata in vetta alla classifica è lei, la materia oscura, che sappiamo non essere fatta della materia ordinaria, ma la cui natura non trova spiegazione all’interno del modello standard.
In realtà non è la prima volta che un esperimento in orbita osserva una produzione eccessiva di antimateria nei raggi cosmici. Già l’esperimento PAMELA infatti aveva ottenuto risultati simili, ma mai a energie così alte (500 GeV) e con una tale precisione.
Ottimi risultati dunque. “Ma ci sono due caveat”. precisa la Bertucci. “La prima questione è capire se la frazione di positroni sale con l’aumentare dell’energia perché effettivamente aumenta il numero di positroni rispetto a quanto atteso, oppure perché c’è un deficit di elettroni rispetto all’andamento previsto. Per questa ragione abbiamo misurato i flussi di positroni ed elettroni separatamente, rilevando che effettivamente è l’antimateria ad aumentare con l’energia rispetto alle attese e non la materia a diminuire. Quello che invece resta da misurare, e che rappresenta uno dei progetti di AMS per il prossimo futuro, è come l’eccesso di positroni comincia a diminuire a energie superiori a 272 GeV.”
Infine, una seconda questione a cui gli scienziati stanno lavorando è rappresentata dal fatto che per supportare questa teoria è necessario studiare in dettaglio anche i flussi di antiprotoni, le cui concentrazioni sono però enormemente più piccole. “In questo senso possediamo già misure interessanti da esperimenti precedenti in orbita, per esempio PAMELA, ma ci aspettiamo che AMS raccolga un maggior numero di anti-protoni riuscendo ad ottenere una maggiore precisione in un intervallo di energie più esteso”.
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Crediti immagine: NASA/HST/CXC/ASU/J. Hester et al.