SALUTE – Il 70% dei decessi per una qualche forma di cancro si concentrano fuori da quello che chiamiamo Occidente, cioè fuori dai paesi economicamente più avanzati. In effetti, secondo i dati di Globocan, il 60% dei 14 milioni di nuovi casi di cancro del 2012 è stato registrato in Africa, Asia o America meridionale. Il che significa che la maggior parte dei malati di cancro, in termini assoluti, vive in paesi economicamente meno avanzati e con sistemi sanitari che non hanno le stesse risorse economiche di altri paesi. “Questo pone un problema di disuguaglianza nella possibilità di accedere alle terapie”, ci spiega Andreas Ullrich durante il congresso della European Society for Medical Oncology (EMSO) di Madrid (26 – 30 settembre), “ma questa è solo una parte della storia”. Ullrich, oncologo tedesco ma che ha studiato anche a Pavia, è il Medical Officer dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) responsabile del programma di controllo del cancro a livello mondiale.
Il tema dell’accessibilità resta un problema centrale nei confronti della nuove terapie che si stanno affacciando sul mercato. Spesso hanno costi individuali che superano le migliaia di dollari l’anno per singolo paziente, una quantità di denaro che l’Europa si può ancora permettere, ma non un paese dell’Africa subsahariana o dell’America Latina. Andreas Ullrich, però, sottolinea che non si tratta di un problema solamente dei paesi più poveri, ma di una disuguaglianza che si verifica “anche nei paesi europei”. Per questo all’interno della costellazione di iniziative ESMO c’è una commissione “espressamente dedicata all’adeguamento dei prezzi delle medicine” per cercare di trovare una via sostenibile per l’impiego dei farmaci.
“Ma non è solo una questione di prezzo”, continua Ullirch, “perché il vero nocciolo della questione è realizzare un sistema efficace di erogazione delle cure per il controllo del cancro”. Per esempio, “c’è una lista stilata dall’OMS con le medicine essenziali per il trattamento del cancro, e molte di loro sono economiche perché sono farmaci generici”. Non bisogna però mai dimenticare che “i medicinali sono solo una componente della lotta al cancro, che invece viene combattuto con una combinazione di chirurgia, chemioterapia e radioterapia”. E per i paesi più poveri, anche la diffusione di questi interventi può rappresentare un problema.
Dal punto di vista dell’OMS il futuro della lotta al cancro non può che essere interdisciplinare, alla ricerca di una collaborazione forte tra tutti gli attori coinvolti: “ricercatori, medici e personale sanitario, ma anche organizzazioni e istituzioni nazionali e sovranazionali, oltre all’apporto che possono dare le ONG”.
In questo contesto il lavoro dell’OMS è anche quello di mettere a disposizione un forum per far incontrare tutti gli attori coinvolti nella lotta al cancro e cercare di trovare le soluzioni migliori per continuarla. “Abbiamo un modello di riferimento che è GAVI, l’alleanza mondiale per i vaccini, ampiamente sostenuta dalla Fondazione Gates”, racconta Ullrich. Si tratta di un esempio di coinvolgimento dei vari attori per la messa a punto di “un sistema organizzativo integrato”, in cui “l’accesso ai farmaci è solo una parte della questione da affrontare”. Certo, la vaccinazione è una pratica molto più semplice della cura per il cancro: basta somministrare una volta il vaccino e la copertura è garantita per lungo periodo, se non per la vita intera del paziente. Diverso il discorso per il cancro, dove si passa dalla sala operatoria a terapie sofisticate e prolungate come la chemioterapia e la radioterapia, oltre alla somministrazione di farmaci per periodi lunghi. Secondo Ullrich però, questa è la strada.
In più c’è il tema della prevenzione. “Oggi sappiamo che alcuni comportamenti, come fumare, bere alcolici e consumare cibi particolarmente grassi”, spiega Ullirch, “hanno una relazione con l’insorgenza del cancro”. E nei paesi le cui economie stanno crescendo, alcuni di questi comportamenti si stanno diffondendo progressivamente a un nuovo strato sociale che ricade nei fattori di rischi per alcuni tipi di cancro. Eppure, “la conoscenza non basta: basta guardarsi attorno qui al congresso dove possiamo vedere molti oncologi fumare, eppure sanno che il 20% delle morti dovute al cancro derivano dal fumo”.
Lo sforzo da fare, l’ultimo miglio, almeno per ora, è diffondere le pratiche che si sono già rivelate efficaci e che possono essere studiate approfonditamente per poi diffonderle in altre realtà, come per esempio “il trattamento del cancro al collo dell’utero in America Latina e in Asia: abbiamo solo bisogno di sapere di più” e applicare quanto sappiamo per una migliore organizzazione anche solamente dei singoli ospedali. In fondo, come spesso accade nelle storie di successo, più che dal solo potere economico – che comunque rimane importante, la forza di una lotta deriva soprattutto da una maggior conoscenza e dalla sua diffusione.
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