SPECIALE SETTEMBRE – I sismologi lo dicono da sempre e lo hanno ripetuto ancora più spesso da quando il processo alla Commissione Grandi Rischi ha catalizzato l’attenzione pubblica sul tema del rischio sismico: no, i terremoti non si possono prevedere. O meglio, non si possono prevedere in termini assoluti – non si può stabilire con certezza data e luogo del prossimo sisma – mentre quello che oggi gli scienziati possono fare è una stima della probabilità che in una certa area si verifichi un forte terremoto. Si chiamano previsioni probabilistiche e si possono fare considerando diversi intervalli temporali, dai decenni per le previsioni a lungo termine, fino alle stime settimanali o giornaliere per quelle a breve termine.
Proprio di queste ultime parla un articolo firmato da Warner Marzocchi, Annamaria Lombardi e Emanuele Casarotti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e pubblicato qualche settimana fa sulla rivista Seismological Letters. L’algoritmo fa parte dei sistemi di Operational Earthquake Forecasting (OEF) e si basa sui dati raccolti ogni giorno dai sismografi, combinandoli con quelli del catalogo strumentale in possesso dell’Ingv e con gli studi geologici sul territorio.
Il principio di funzionamento è simile a quelli dei software delle previsioni meteo: vista la caratteristica dei terremoti di raggrupparsi nel tempo e nello spazio, le probabilità che si verifichi un sisma aumentano se ci sono state scosse nei giorni precedenti. Il risultato è una mappa interattiva che prevede come cambierà la pericolosità simica nei 7 giorni successivi e i risultati dei primi esperimenti sembrano incoraggianti.
Avere a disposizione uno strumento in grado di fare stime accurate sulla sismicità a breve termine che vantaggi potrebbe portare alla popolazione? Potrebbe dare l’allarme e salvare vite umane?
Quello messo a punto dai sismologi italiani non è l’unico sistema di questo tipo. Nel mondo, un esempio di utilizzo – a livello sperimentale – degli OEF è in Nuova Zelanda, dove gli scienziati stanno testando anche la parte di comunicazione al pubblico.
Carlo Meletti è sismologo e responsabile, insieme a Marzocchi, del Centro di Pericolosità Sismica dell’Ingv, istituito nel 2013 proprio con lo scopo di elaborare modelli di pericolosità sismica di lungo, medio e breve periodo. Lo scienziato frena gli entusiasmi: “Lo studio è importante dal punto di vista scientifico, ma ancora non siamo pronti per un utilizzo pratico. Gli OEF devono ancora essere pienamente validati. È vero che se fossero efficaci potrebbero in futuro salvare delle vite ma c’è ancora tanto da capire su questi sistemi”. Per Meletti, rendere pubblico oggi il software OEF sviluppato dall’Ingv corrisponderebbe a distribuire un farmaco di cui ancora non si conosce l’efficacia perché non è finita la sperimentazione.
E nel caso gli OEF fossero validati scientificamente, ci sarebbe da capire come e quando utilizzare questi modelli. Al momento la scelta degli intervalli di tempo per il calcolo della pericolosità è legata al tipo di utilizzo pratico che si vuole fare delle stime. Quelle a lungo termine servono soprattutto ai sismologi per elaborare le carte del rischio sismico e agli ingegneri per definire le regole di progettazione degli edifici, mentre gli amministratori nazionali e locali utilizzano le stime di pericolosità su intervalli più brevi, 1-10 anni, per politiche di riduzione del rischio sismico e per stabilire i criteri per finanziare le ristrutturazioni degli edifici esistenti.
E le previsioni settimanali come sarebbero utilizzate? Secondo Meletti, su questo si può e si deve lavorare. “Affinchè gli OEF siano utilizzabili, dovremo associare ai numeri forniti dal modello delle azioni pratiche. Che tipo di misure dobbiamo mettere in atto con la popolazione di un territorio se la probabilità che si verifichi un terremoto diventa, per esempio, 1/100?”
Una delle difficoltà, infatti, riguarda gli ordini di grandezza in gioco, che sono molto piccoli. Quando si parla di pericolosità sismica nel breve periodo, infatti, si possono osservare variazioni di probabilità che rimangono quasi sempre ampiamente sotto l’1%. Questo significa che se dovessimo avere un aumento delle probabilità anche molto grande – anche di 1.000 volte – nella maggior parte dei casi ci sarà il 99% di probabilità che il terremoto non avvenga.
Per questo sarà cruciale anche lo studio di un adeguato piano di comunicazione, oltre all’inserimento dei sistemi di previsione a breve termine in un pacchetto di misure. La carta della pericolosità sismica, assicurano all’Ingv, sarà sempre fondamentale, così come la microzonazione, che consiste in una serie di studi molto dettagliati a livello locale.
Ma ricerca e comunicazione non bastano, perché, sempre secondo Meletti “dovrebbero essere affiancate da politiche di incentivi ai privati”. Un caso virtuoso è rappresentato dalla Regione Toscana che dopo il terremoto del 1995 in Lunigiana stanziò dei fondi da destinare ai privati per ristrutturazioni edilizie e adeguamento sismico. Grazie a questi micro-finanziamenti molti cittadini hanno ridotto la vulnerabilità dei propri edifici, come dimostrato dal sisma di magnitudo 5.2 dell’estate 2013 che ha prodotto danni limitati.
“Oltre ad aiutare l’economia delle costruzioni, questi incentivi hanno anche formato le ditte edili locali sulle norme antisismiche. In un territorio sismico come la Lunigiana si tratta di conoscenze molto preziose”, conclude Meletti, che ha parlato del caso della Lunigiana anche sul blog dell’Ingv.
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