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Conquistare il mondo con la tenerezza: la panda diplomacy cinese

Un approfondimento sul legame che esiste tra zoo e guerre, tra conservazione e diplomazia

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APPROFONDIMENTO – Su Lin (“piccola bellezza”) fu catturato quando aveva poco più di due settimane di vita. Pochi giorni dopo, il piccolo si ritrovò dalle tranquille e nebbiose montagne del Sichuan nella più grande metropoli del mondo, la scintillante New York: era il 1936 e Ruth Harkness aveva appena esportato il primo cucciolo di panda gigante nel mondo occidentale. La socialite americana non poteva certo saperlo, ma aveva inaugurato una politica che avrebbe assunto dimensioni davvero impressionanti: quando biodiversità, endemismo e politica internazionale si fondono insieme, nasce la panda diplomacy.

Da “oggetto” di culto a “strumento” politico

Grazie a Ruth Harkness iniziò una vera e propria corsa a possedere panda, la maggior parte dei quali morivano pochi anni dopo essere stati strappati al loro ambiente naturale. Le autorità cinesi, fino al 1941, non si rendevano conto di quanto stava accadendo, anche perché il paese era scosso dalle guerre civili tra comunisti e nazionalisti. Con la fondazione della  Repubblica Popolare Cinese il discorso cambiò, in modo abbastanza radicale. I panda iniziarono ad essere visti come un utile “strumento” di persuasione rivolto alle opinioni pubbliche degli altri Paesi. In realtà non si trattava di una politica nuova: l’imperatore Wu Zetian, della dinastia Tang (618-907 d.C.), cedette 2 panda vivi e 70 pellicce all’imperatore giapponese, in segno di pace. In tempi più recenti (precisamente tra il 1949 e il 1958), i panda furono concessi ufficialmente solo a paesi socialisti alleati alla Cina comunista. Nel 1957, tuttavia, un broker di animali austriaco, Heini Demmer, riuscì a barattare tre giraffe, due rinoceronti, due ippopotami e due zebre per un singolo panda, chiamato Chi Chi, che presto sarebbe diventato una star. Inizialmente Chi Chi era destinato agli Stati Uniti; tuttavia la fase acuta del maccartismo era da poco passata e le “origini socialiste” di Chi Chi impedirono al panda di entrare in territorio americano. Chi Chi soggiornò brevemente a Berlino e Copenhagen, per essere poi comprato dallo zoo di Londra. In Gran Bretagna Chi Chi divenne una star, ma la sua fama è arrivata fino ai giorni nostri: è infatti il panda stilizzato del primo logo del Wwf.

Un gigante pacifico e buono

Un grande cambiamento nella storia della panda diplomacy coincise con un evento di portata storica: l’apertura delle relazioni diplomatiche tra la Cina maoista e gli Stati Uniti guidati da Nixon, nel 1972. Durante la celebre visita ufficiale (vero capolavoro diplomatico di Kissinger) si narra che l’allora Premier cinese, Zhou Enlai, accompagnasse la First Lady, Pat Nixon, in visita allo zoo di Pechino. Davanti alla gabbia dei panda, Zhou mostrò un pacchetto di sigarette “Panda” (considerate delle “sigarette di lusso” in Cina) alla signora Nixon e chiese se ne volesse, ma lei rifiutò poichè non fumava: “Non mi riferivo alle sigarette, ma agli animali”, fu la risposta del primo ministro cinese con un gran sorriso. Ling Ling e Xing Xing arrivarono negli States acclamati come star hollywoodiane, e da allora circa 3 milioni di visitatori all’anno si recarono allo zoo di Washington per ammirarli. Un gigante pacifico e unico nel suo genere: quale animale poteva rappresentare più di così il nuovo corso della Cina? La panda diplomacy divenne uno strumento fondamentale mano a mano che la Cina normalizzava i propri rapporti con il mondo occidentale. In dieci anni furono donati 14 panda a Francia, Gran Bretagna, Messico e Giappone – quest’ultimo, addirittura, inviò dei caccia militari per scortare il volo degli animali.


Accoppiarsi poco può valere anche 4 miliardi di dollari

Terminata la fase di apertura diplomatica al mondo esterno, la Cina si avviava a “conquistare” il mondo grazie alla sua economia. E la panda diplomacy, anche stavolta, si adattò alle nuove esigenze. Innanzitutto, da metà degli anni ‘90, la Cina non dona più gli animali, ma li presta (all’interno del concetto teorico della guanxi, termine che indica la rete di reciproca fiducia e benevolenza tra persone) per un periodo limitato di tempo, solitamente 10 anni, e con un affitto annuale di 1 milione di dollari; la clausola più interessante è che ogni cucciolo nato all’estero diventa immediatamente di proprietà cinese e deve essere riconsegnato al paese asiatico appena finisce lo svezzamento. Ma soprattutto, è cambiato lo scopo di questi prestiti. Alcuni ricercatori ipotizzano che i panda siano diventati una delle variabili con cui gli analisti cinesi testano l’avanzamento tecnologico di una nazione: quando, nel 2003, gli Stati Uniti sono riusciti a far riprodurre un panda loro ospite, nei palazzi di Pechino la notizia ha destato grande interesse. In secondo luogo, ormai è evidente che la panda diplomacy, da strumento di propaganda culturale (il gigante pacifico e buono), è divenuta un vero e proprio strumento della politica di potenza. Lo schema è abbastanza collaudato: per esempio, dopo pochi mesi dall’arrivo a Edimburgo del panda Tian Tian, il governo regionale scozzese ha stretto contratti commerciali con la Cina per un valore totale di 4 miliardi di dollari (in salmoni, tecnologie verdi e autoveicoli Land Rover). La donazione di cuccioli di panda a Canada, Francia e Australia ha coinciso con accordi commerciali di vendita di uranio alla Cina – che vuole incrementare le proprie centrali nucleari. Conoscendo questi fatti, la foto qui sotto che ha fatto il giro del mondo per la sua tenerezza appare più come uno spot “guardate quanti nuovi accordi commerciali siamo pronti a fare”:

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Pandamania

Ma la politica di potenza cinese tramite i panda non si limita all’aspetto meramente economico. Per anni la Cina ha cercato di donare una coppia di panda allo zoo di Taiwan, ma i governanti dell’isola si rifiutavano categoricamente, considerandolo uno strumento subdolo per invogliare la popolazione a ricongiungersi alla Cina continentale. Per forzare ancora di più la mano, il governo di Pechino finanziava i giornali affinchè incrementassero la pressione dell’opinione pubblica per l’adozione della coppia di panda, al punto che sulla stampa taiwanese si arrivò a parlare di “pandamania”. Alla fine, con l’arrivo al governo nel 2008 di un Premier più amichevole con Pechino, anche a Taiwan sono arrivati Tuan Tuan e Yuan Yuan. Una curiosità: tutti i panda volano (e sono assicurati) attraverso la famosa azienda di spedizioni FedEx, che ha addirittura dedicato una gabbia e un aereo speciali per questi animali.

Pochi e sfruttati (ma forse salvabili)

Sicuramente l’uso di questi animali in gravissimo pericolo di estinzione è strumentale e cinico. Tuttavia (soprattutto dopo le pressioni di alcune organizzazioni animaliste statunitensi) una parte dell’affitto annuale da 1 milione di dollari viene devoluta all’Associazione per la Conservazione della Fauna Selvatica cinese e al Chendou Research Base of Giant Panda Breading, che si sta impegnando non solo nella riproduzione in cattività ma anche (finalmente) alla preservazione degli ambienti naturali dei panda. Secondo le stime del WWF, negli anni ‘70 si contavano non più di 1100 panda allo stato selvatico, mentre nell’ultimo censimento del 2004 se ne contavano circa 1600 (altre stime invece dicono 3-4000) – un buon incremento considerando la famosa non-prolificità di questi teneri animali. Al netto del cinismo di cui sono vittime, dei grandi accordi commerciali e dei ricatti politici, forse la panda diplomacy può rappresentare un modo (pur sbagliato che sia) per salvare questi animali dalla completa estinzione.

@gia_destro

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagini:

La Priz, Flickr
Giant Panda Breeding Centre in Chengdu

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