Cosa pensa chi dona un embrione
In alcuni paesi (non in Italia), gli embrioni in soprannumero ottenuti da PMA possono essere donati alla ricerca. Con quali motivazioni?
GRAVIDANZA E DINTORNI – In tutto il mondo, i freezer dei centri in cui si pratica la procreazione medicalmente assistita ospitano ormai centinaia di migliaia di embrioni. Solo in Italia e solo nel 2012 ne sono stati congelati circa 19.000, prodotti in sovrannumero con tecniche di PMA. Nel nostro paese, non c’è molto che si possa fare con questi embrioni: alcuni saranno utilizzati dalla coppia che li ha generati per cercare nuove gravidanze, ma per tutti gli altri non resta che il sonno eterno nel ghiaccio. Altrove, invece, le possibilità aumentano: anche se stabilire cosa fare dei propri embrioni è spesso un percorso travagliato e conflittuale, si può decidere se mantenerli congelati, oppure donarli a un’altra coppia (si parla di embrioadozione) o alla ricerca scientifica o, ancora, ai centri che si occupano di PMA per la messa a punto di nuovi approcci tecnologici. Ma che cosa pensano, esattamente, quelle coppie di genitori che decidono di donare i propri embrioni alla ricerca? Con quali motivazioni lo fanno?
Sono le domande che si è posta Erica Jonlin, manager del settore regolatorio dell’Institute for Stem Cell and Regenerative Medicine dell’Università di Washington, un centro con un programma di derivazione di cellule staminali da embrioni in sovrannumero non più utilizzati a scopo riproduttivo. Finora, all’Istituto si sono rivolte 120 coppie intenzionate a donare i propri embrioni alla ricerca. Sulla base delle conversazioni preliminari che queste coppie hanno avuto con rappresentanti del centro per arrivare a un consenso informato sulla donazione, Jonlin si è fatta un’idea di quello che sta dietro alle loro decisioni e la racconta un articolo pubblicato in uno “speciale riproduzione” di Trends in Molecular Medicine.
La prima osservazione è che pochi tra i genitori incontrati parlano dei loro embrioni come di “bambini”. Un’osservazione che non sorprende, se si considera che queste coppie hanno già deciso per la donazione e stanno prendendo ulteriori informazioni. Tuttavia, questo non significa distacco, anzi: “In generale c’è un certo attaccamento al proprio embrione, che si manifesta proprio nell’interessamento verso il suo destino” sottolinea Jonlin.
La preoccupazione fondamentale è che l’embrione non vada sprecato. Se sono esclusi nuovi tentativi di gravidanza o l’idea di donarlo a un’altra coppia (per esempio perché non si desidera che altri genitori crescano il proprio figlio o che i figli già avuti possano avere fratelli e sorelle sconosciuti), non rimangono molte opzioni e “sacrificarli” per la ricerca è considerato più opportuno che sacrificarli e basta o dimenticarli per sempre in un freezer. “Molti donatori esprimono la speranza che i loro embrioni possano ‘fare del bene” e sono sollevati o addirittura grati per il fatto che possano servire a qualcosa” scrive Jonlin. E c’è anche chi lo ritiene quasi un obbligo morale, come forma di ricompensa per la ricerca, che ha permesso loro di farsi una famiglia.
Ci sono anche richieste specifiche su temi scientifici. Tra le domande più frequenti ci sono quelle su natura e applicazioni delle cellule staminali o su come vengono ottenute a partire dagli embrioni stessi. Alcune coppie vogliono sapere quanto a lungo il loro embrione sarà fatto sviluppare prima di cominciare la derivazione di una linea oppure, se hanno letto La vita immortale di Henrietta Lacks, se anche le loro cellule embrionali diventeranno immortali e fondamentali per la ricerca. Molti aspiranti donatori sono interessati a particolari malattie, magari ricorrenti nelle loro famiglie, e vorrebbero che i loro embrioni venissero destinati alla ricerca proprio su queste malattie. Anche se, sottolinea Jonlin, per varie ragioni scientifiche sono pochissimi al mondo i centri che permettono ai donatori di porre restrizioni di questo tipo sull’utilizzo degli embrioni.
Altri ancora chiedono se potranno essere informati sul destino del loro embrione: un aspetto che viene al momento considerato critico. In effetti, non sempre questa informazione viene data, anche se a livello internazionale ci si sta orientando verso l’idea che possa essere buona cosa farlo. Non solo come gesto di gentilezza e riconoscimenti nei confronti di chi permette l’avanzamento della ricerca, ma anche per ragioni scientifiche: mantenere contatti con i donatori – e quindi con informazioni relative al loro stato di salute – potrebbe infatti aiutare il collegamento tra caratteristiche delle cellule e dei tessuti sviluppati in laboratorio e particolari manifestazioni patologiche.
Almeno nel campione esaminato, infine, le coppie non hanno in genere sollevato obiezioni rispetto al fatto che la ricerca condotta sui loro embrioni possa un giorno portare allo sviluppo di prodotti commerciali.
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