Ecopassaggi, servono davvero?
Tunnel, ponti, sopraelevate, canali: evitare che la fauna attraversi la strada è un'ottima idea, ma bisogna ragionarla meglio
AMBIENTE – Ci sono ampie iniziative, come Highway Wildling che lavora sul territorio delle Montagne Rocciose canadesi. Ma anche progetti più piccoli, come Project Splatter, creating a UK map of wildlife roadkill, iniziativa che fa capo alla Cardiff University e che tramite una app monitora e studia le uccisioni di animali selvatici sulle strade (o roadkill) del Regno Unito. In entrambi i casi, lo scopo è individuare i punti più critici, che meritano attenzione, e gli strumenti usati sono talvolta insoliti. Per esempio, piccoli sondaggi che fanno parecchio pensare, come l’ultimo Dead or Alive, in cui gli amministratori hanno domandato alla loro community se avessero mai visto un tasso in natura, vivo o morto.
Ma a cosa può servire scoprire quali sono i luoghi più pericolosi in cui perdiamo un gran numero di animali (negli Stati Uniti si parla di un milione di roadkill al giorno, dicono a Project Splatter)? Non solo ad aggiungere cartelli stradali per mettere in guardia gli automobilisti, ma potenzialmente per fare capire la necessità di costruire ecopassaggi. Ovvero tunnel, strade sopraelevate, ponti, canali, strutture che permettano alla fauna selvatica di oltrepassare le barriere costruite dagli esseri umani. Sana e salva. Ma la questione è davvero complicata, specialmente per le specie più grandi e sensibili alla presenza umana: come le renne, che al solo intravedere uno sciatore interrompono migrazioni di centinaia di animali.
Complicata anche perché, a quanto pare, non basta offrire agli animali una semplice strada alternativa più o meno incoraggiante. Bisogna al contrario studiare nel dettaglio il progetto dell’ecopassaggio, lavorando sulle caratteristiche delle specie che si vuole tutelare. La conclusione, per nulla banale, arriva da una ricerca pubblicata da James Baxter-Gilbert della Laurentian University, che insieme ai colleghi racconta i risultati di uno studio su PLoS ONE. In open-access, lo potete leggere qui.
Il caso in particolare riguarda i rettili, studiati su una sopraelevata in Ontario, Canada. Se le strutture che dovrebbero limitare l’accesso alla strada non lo impediscono al 100%, spiegano i ricercatori, un ecopassaggio rischia d’essere molto meno efficace del previsto. Dopo aver raccolto dati sulla popolazione di rettili della zona prima dell’installazione e di un ecopassaggio (e della chiusura della strada per impedirvi l’accesso diretto da parte di piccoli rettili), Baxter-Gilbert e il suo gruppo hanno monitorato la situazione per quattro mesi, tra maggio e agosto, in due anni consecutivi.
Usando la radiotelemetria, una serie di videocamere e un sistema di tag per monitorare gli spostamenti dei rettili, il loro comportamento in loco e l’eventuale utilizzo degli ecopassaggi, i ricercatori hanno concluso che la situazione da prima a dopo non era affatto migliorata: l’abbondanza di tartarughe (azzannatrici e di Blanding) e testuggini palustri dipinte era sempre la stessa, mentre la percentuale di esemplari morti, sia tartarughe sia serpenti, era addirittura aumentata. Gli animali sì utilizzavano gli ecopassaggi, ma molto meno frequentemente rispetto a quanto continuassero a spingersi per attraversare direttamente sulla strada. Se c’è un piccolo buco nella struttura che “recinta” la strada, secondo gli autori, l’utilità dell’ecopassaggio è già compromessa.
Che fare dunque? Studiare i progetti degli ecopassaggi prestando molta più attenzione alle caratteristiche etologiche delle specie che si intende tutelare: studiandone la biologia e il comportamento sarà più facile valutare l’efficacia di tunnel, ponti e altre strutture, dopo aver assunto che il semplice fornire un’alternativa agli animali raramente è sufficiente. Quando invece funziona approfittano del passaggio sicuro anche specie più grandi (dandoci soddisfazioni come questa, una lince ripresa da una fototrappola qualche anno fa al Banff National Park).
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