ricerca

Una misura più precisa per la massa del bosone di Higgs

Presto al via la seconda fase di esplorazione di LHC nell'era del post-bosone. Si raggiungeranno i 13 teraelettronvolt di energia

Lo_spettrometro_a_muoni_con_sovrapposto_una collisionepp
SCOPERTE – 125,09 ± 0.24 GeV (0,21 errore statistico ± 0,11 errore sistematico): ecco il valore più preciso della massa del famoso bosone di Higgs, una misura resa nota i giorni scorsi, ottenuta combinando i dati degli esperimenti ATLAS e CMS del CERN di Ginevra. È uno dei risultati più importanti ottenuti con LHC e sicuramente una punta di diamante tra le numerose misure condotte sulla celebre particella scoperta nel 2012 nella prima fase di presa dati (2010-2012), il cosiddetto Run 1.
OggiScienza ha incontrato una delle protagoniste di questo cammino che vedrà a breve l’avvio della seconda fase: Anna Di Ciaccio, responsabile INFN di ATLAS, che ci ha raccontato perché questa misura è così importante e quali saranno i prossimi passi dell’LHC.

Dal 2012 a oggi

Il 4 luglio 2012 gli esperimenti ATLAS e CMS annunciavano al CERN la scoperta di una particella compatibile con il bosone previsto a livello teorico dai fisici Peter Higgs, François Englert e Robert Brout. Si è aperta così l’ “era del bosone”, che prevedeva prima di tutto di capire la sua vera natura. “Durante questa prima fase di misure i due esperimenti, ATLAS e CMS, hanno lavorato separatamente ma nella stessa direzione – racconta Di Ciaccio – alla misura delle proprietà di questa nuova particella, come per esempio la sua massa, lo spin, agli accoppiamenti con le altre particelle. Tutto ciò ha permesso di affermare con certezza che quella particella era proprio il bosone di Higgs e ultimamente i ricercatori di ATLAS e CMS hanno messo insieme i loro dati e hanno ottenuto una misura ancora più precisa della sua massa riducendo gli errori della precedente misura ottenuta separatamente dai due esperimenti.”

Perché si cerca la massa di una particella con un acceleratore?

“LHC è come un potente microscopio – spiega Di Ciaccio – che studia la materia a distanze piccolissime, fino a 10^-17 centimetri. A livello pratico, quello che si fa a LHC è studiare le collisioni tra protoni di altissima energia per studiare di cosa è fatta la materia a livello di particelle elementari. Tutti noi conosciamo la famosa equazione di Einstein E=mc^2: ebbene, è proprio questa formula il cuore della comprensione della nostra ricerca. Due protoni che si scontrano a velocità prossima a quella della luce (c) producono un’enorme quantità di energia, che a sua volta, come ci dice la relazione einsteiniana, si trasforma in massa. La collisione produce quindi ulteriori particelle, che vengono rivelate e identificate dai giganteschi e sofisticatissimi rivelatori di particelle di cui sono composti gli esperimenti ATLAS e CMS.”

Perché ci interessa la massa del bosone di Higgs?

Individuare l’esistenza di una particella prevista da un modello significa fornire una conferma del modello stesso. E qui il modello di cui stiamo parlando è nientemeno che il cosiddetto Modello Standard, che riesce a descrivere l’evoluzione dell’Universo a partire da qualche istante dopo il Big Bang. “Quello su cui noi scienziati ci stiamo arrovellando da anni, e in cui si innesta la ricerca del bosone di Higgs è capire che cosa sia successo pochi istanti dopo l’esplosione primordiale. In altre parole, capire come le forze fondamentali hanno agito per produrre l’Universo come è adesso dopo più di 13 Miliardi di anni dalla sua formazione” prosegue Di Ciaccio. “Possiamo dire che LHC studia l’origine dell’Universo non puntando gli occhi verso l’alto per scrutare l’immenso come si fa con i telescopi, ma orientando il microscopio verso i costituenti ultimi della materia. È dallo studio della materia a livello microscopico che si può capire come siamo arrivati fino a oggi, poiché studiare le collisioni ad LHC equivale a riprodurre in laboratorio, su scala microscopica, le condizioni dell’Universo nei suoi primi istanti di vita”

È qui che si innesta anche il busillis della materia oscura, cioè il fatto che quasi un terzo della materia che costituisce l’Universo è fatta di un qualcosa che non conosciamo. “Anche qui ruota tutto intorno allo studio delle particelle” spiega Di Ciaccio. “Per studiare l’origine dell’Universo dobbiamo capire anche di che cosa è fatta questa materia oscura, ma per farlo è necessario andare a cercare l’esistenza di nuove particelle che vengono ipotizzate nei vari modelli teorici che vanno oltre il Modello Standard il quale non descrive la materia oscura. Al momento, per esempio, stiamo cercando una particella chiamata neutralino, prevista nei modelli di supersimmetria che potrebbe essere la particella che produce la materia oscura.”

La fase due

Ora che la fase uno è terminata, si apre la Run 2, che comincerà a breve con il nuovo avvio di LHC. “La prima fase è stata un successo e ci aspettiamo nuove scoperte anche da questa seconda presa dati – prosegue Di Ciaccio – che ci permetterà oltre che di mettere nuovi punti fermi sul Modello Standard anche di studiare in maniera più approfondita nuovi modelli quali la supersimmetria e il modello delle extra-dimensioni che prevede una struttura della materia più complessa a livello microscopico, basata su molte più dimensioni rispetto alle coordinate tridimensionali e al tempo”
Per fare questo gli scienziati disporranno di un acceleratore di particelle potentissimo, appunto LHC, che toccherà i 13 Tera (eV) nel centro di massa, quasi un raddoppio dell’energia se consideriamo che nella prima fase il massimo dell’energia ottenuta è stato di 8 Tera eV.

“Siamo animati da un grande entusiasmo – conclude Di Ciaccio – perché non dobbiamo dimenticare che anche la non scoperta di una nuova particella o la scoperta di una particella non aspettata sono in realtà fonte di nuova conoscenza, poiché ci dicono se un modello teorico è giusto o sbagliato nel descrivere il mondo che ci circonda’. Il nostro stato d’animo di oggi è un po’ come quello di Cristoforo Colombo quando è partito con le sue Caravelle: l’obiettivo era quello di raggiungere l’India da ovest, ma ha scoperto l’America, mancando l’obiettivo originario ma raggiungendone un altro ancora più importante. Per noi ricercatori che abbiamo la fortuna di lavorare a LHC è proprio questa l’essenza della nostra ricerca: andare verso forse qualcosa di incognito alla ricerca di nuove conoscenze.”

@CristinaDaRold

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Immagine: spettrometro a muoni con sovrapposto un evento similato di collisione pp, CERN

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.